Papa Bergoglio ha dato il via libera al riconoscimento dei primi martiri della dittatura comunista dei Khmer Rossi, in Cambogia.
Si fa riferimento a un periodo buio, un regime spietato e crudele, dove le persecuzioni, le uccisioni di massa e i campi di prigionia in condizioni proibitive costarono la vita a milioni di persone, e dove la Chiesa fu distrutta.
Era il 17 aprile 1975 quando i khmer rossi di Pol Pot entrarono a Phnom Penh, avviando uno dei regimi totalitari più violenti della storia dell’umanità, che annientò due milioni di persone e, nel cieco furore ideologico, travolse ogni istituzione sociale, culturale e religiosa. Quarant’anni dopo, la Chiesa cattolica cambogiana riconosce e celebra i suoi martiri, avviando la fase diocesana del processo di beatificazione per 35 tra vescovi, preti, laici, donne e catechisti. Anche grazie all’impulso decisivo di Papa Francesco.
Tra il 1975 e il 1979, la repressione di Pol Pot fu funesta, colpì tutto ciò che minacciava la costituzione di una «nuova Cambogia», che doveva basarsi su una società agraria, autosufficiente e priva di influenze straniere. Migliaia di persone furono deportate in fattorie comuni, mentre scuole, ospedali, banche sparirono. Abolita ogni forma di religiosità e di cultura, furono giustiziati i militari del precedente regime, i funzionari statali, gli intellettuali e i liberi professionisti, i bonzi e i cristiani, indigeni o stranieri.
Alcuni di loro, pur potendo espatriare, scelsero volontariamente di restare, come il missionario francese Pierre Rapin, che nel 1972, poco dopo venne ucciso. Stessa sorte per il vescovo cambogiano Joseph Chhmar Salas, capofila del gruppo dei martiri a cui è intitolata la causa.
.Quella cambogiana (30mila anime in tutto, su 15 milioni di abitanti) è una Chiesa ancora giovane, in quanto non ha ancora diocesi istituite ma un vicariato apostolico a Phnom Penh e due prefetture apostoliche, quelle di Battambang e di Kompong-Cham.
Molti sacerdoti, durante l’invasione dei Khmer, decisero di restare a fianco della popolazione per “non far perdere la speranza nonostante tutto attorno fosse tenebra”, scriveva un missionario francese trucidato.
Dunque, la fase diocesana per la beatificazione riguarda 35 persone, martiri brutalmente soppressi dalla follia di Pol Pot. A riferirlo è l’agenzia vaticana Fides, la quale ha raccolto l’annuncio di padre Gustavo Benitez, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie. I 35 martiri per i quali inizia il lungo iter, sono morti tra il 1970 ed il 1977, e sono nativi di Cambogia, Vietnam e Francia.
“Con l’inizio del processo, è stata creata una commissione che raccoglierà tutte le testimonianze. Alcuni furono uccisi, altri lasciati morire di fame e di stenti” spiega padre Benitez. L’apertura del processo “è importante a livello storico, perché aiuterà i cambogiani a ricostruire la storia personale e le loro radici, e anche a livello spirituale: la Chiesa in Cambogia, annullata nelle strutture, ha ripreso a vivere e a crescere“.
Una volta conclusa la fase diocesana del processo, se l’esito dell’istruttoria sarà ritenuto positivo, la documentazione verrà inviata in Vaticano, alla Congregazione per le cause dei Santi, che ne curerà la seconda fase.