L’ispezione del 12 giugno 2015 all’OPG di Secondigliano, effettuata dal consigliere regionale uscente Antonio Amato, ha rivelato una situazione losca e poco chiara, nella quale incide, in maniera sostanziale, l’assenza di collaborazione degli agenti penitenziari.
Antonio Amato, in compagnia del responsabile sanitario Michele Pennino e del ricercatore Antonio Esposito, ha visitato a tarda sera la nuova sezione psichiatrica del carcere di Secondigliano, che avrebbe dovuto sostituire il vecchio OPG: “E’ una struttura alternativa psichiatrica aperta solo da due mesi e già una delle stanze-celle è andata a fuoco. Ho domandato il motivo – riferisce Amato – ma ci hanno solo informato che un ricoverato aveva tentato di darsi fuoco. Non abbiamo potuto saperne di più: ci hanno negato i registri per capire che cosa fosse successo. Alla nostra richiesta di vedere il registro degli eventi critici, gli agenti penitenzieri hanno replicato dicendo che non c’era il personale per andare a prenderlo: una cosa di enorme gravità della quale chiederemo conto a tutte le autorità preposte”.
Un “ex” Opg che per legge doveva chiudere il 31 marzo e invece è ancora lì, con gli stessi pazienti trovati in una precedente visita ispettiva dallo stesso Amato alla data prevista della chiusura. A oltre due mesi dalla chiusura ufficiale – e non rispettata – degli ospedali psichiatrici in Italia, la denuncia lanciata da Amato riapre una questione ad oggi tutt’altro che chiara. Nell’Opg di Secondigliano sono ancora rinchiuse 54 persone, solo 20 dalla data della chiusura ufficiale sono state trasferite altrove. Altre 70 si trovano ancora nella struttura omologa di Aversa.
“Di certo è difficile – continua Amato – definire questi luoghi pienamente carcerari spazi adatti alla cura della sofferenza psichica e alla salvaguardia dei diritti delle persone ristrette.”
Durante la sua visita, Amato ha incontrato anche alcuni internati che hanno raccontato al consigliere e all’esperto che in quelle celle sono continui gli atti di autolesionismo.
Numerose le storie che hanno rintracciato nella struttura: “G., un ragazzone di 36 anni, stava steso, nudo, in cella, con i suoi due quintali di peso. Ci ha chiesto una sigaretta. È arrivato qui nel 2005 e la sua pena si è estinta nel luglio scorso. Ma lui, e gli altri internati, sono ancora qui”.
Singolare anche la storia di F., 41 anni, allevatore abruzzese che per un litigio con il padre è internato dal 21 febbraio scorso: dall’OPG paga un mutuo contratto nel suo paese e sostiene gli oneri economici della sua attività imprenditoriale.
“A nulla – racconta Antonio Esposito – sono servite le relazioni positive che escludono ogni pericolosità nel suo comportamento. F è rimasto intrappolato qui, si preoccupa delle sue mucche, dei 34 ettari di vigneto e uliveto, chiede come possa un pazzo gestire un’azienda. Con noi si è scusato se all’arrivo della delegazione ispettiva non è uscito dalla cella: sapete, vengo da un piccolo paese, se si sa in giro che sono in manicomio, resto marchiato a vita”.
“Si è dato vita a una riforma zoppa e incompleta – commenta il ricercatore Antonio Esposito – che lascia ancora persone a marcire negli OPG e mantiene intatto il meccanismo delle misure di sicurezza, la logica sottesa al manicomio criminale, e lo ripropone con altri nomi, rems, pre rems, articolazioni penitenziarie. Cambiano le forme delle scatole, ma restano luoghi speciali di reclusione utilizzati come contenitori di vite di scarto”