Sono stata in una stazione.
Come nelle più turistiche città italiane, anche in questa c’era un pianoforte. I musicisti o dilettanti che si trovavano a passare di lì, si sedevano a regalare emozioni gratuite. Uno spettacolo che intratteneva quasi ininterrottamente chi comprava il biglietto, chi sedeva ad aspettare il treno, chi si salutava, chi si godeva per qualche minuto quella magia prima di rincasare.
Tra le urla dei bambini stanchi del viaggio, gli annunci delle partenze, le voci in mille lingue diverse di persone da mille parti del mondo, i passi di scarpe da ginnastica o tacchi a spillo di donne in carriera, coppie in vacanza e dirigenti di ritorno dal lavoro, calava la sera.
Il pianoforte non suonava più e quel posto cambiava completamente aspetto. Assumeva le sembianze di una residenza privata, in cui qualcuno chiedeva dei panini ai negozianti che ormai abbassavano le serrande, o si posizionava nel suo angolo della sala, o sistemava il suo lettino di coperte in cui avrebbe passato le ore che mancavano all’alba.
Nel silenzio surreale della stazione nella notte, ho conosciuto Habib (per comodità lo chiameremo così).
Habib dice a tutti di chiamarsi H., svelando solo la sua iniziale. A volte cambia le versioni del suo nome e della sua provenienza, per tutelarsi. Ha una dignità, una storia da proteggere, un’identità che non muore nel momento in cui perde un tetto. Ha tanti amici che vivono con lui nello stesso posto, ma in realtà racconta a pochi della sua vita.
Volevo conoscere le vicende che hanno portato alcune persone a non avere più una casa, invece mi sono ritrovata a parlare per due ore di fila soltanto con lui.
Per qualche strana ragione (forse perché, studiando Arabo, i miei occhi diventano a cuoricino quando guardo qualcuno che proviene da quei Paesi), si è aperto con me. Mi ha da subito rivolto delle domande riguardo ai miei studi, al motivo per cui ho questa passione, al rapporto che ho con la mia famiglia… Ho capito che stava sondando il terreno per scoprire se l’istinto di fidarsi di me poteva essere sfogato. Non gli ho detto che cercavo un’intervista, non volevo spaventarlo. Mi sono ritrovata in questa situazione che ti lega a un’anima a cui sei costretto a mentire. Come nei film.
Mi ha fatto cenno di spostarci un po’ più lontano dai volontari della Ronda e dagli altri clochard, per conoscerci in maggiore tranquillità.
Mi ha detto che alcune mattine, come in quella precedente, si reca da un barbiere in zona, che gli cura viso e capelli, perché vuole mantenere un aspetto pulito. In effetti, a guardarlo meglio, si notano le differenze dagli altri: un cappotto lungo, un paio di scarpe scure, dei jeans che sembrano nuovi, perfettamente sobrio e a modo. Un trentenne come tanti, che si può benissimo trovare in università, al supermercato, all’ufficio postale… Alto, corporatura robusta, carnagione mediterranea, occhi espressivi, mani grandi. Non mi vengono in mente aggettivi che descrivano meglio la sua figura, se non “dignitosa”.
Attraverso un Italiano non perfetto, ma sicuramente di gran lunga migliore del mio Arabo, ha avvisato me (però forse era più un ricordare a se stesso) di non poter diventare come i suoi compagni, che bevevano in continuazione e non avevano rispetto del loro corpo, perché la sua famiglia ha sempre fatto sacrifici per poterlo mandare a scuola. Si è laureato in Tunisia, sua terra natale dove ancora i suoi parenti si trovano, in qualcosa che ha a che fare con la moda e il suo sogno è diventare stilista. Mai avrei immaginato di incontrare un senza fissa dimora con questa aspirazione.
Le cose càpitano, gli incidenti di percorso incrociano te, prima che tu possa provare a schivarli. E così, dopo aver viaggiato in tutta Europa, quel giorno si trovava in Italia, l’indomani in Germania, e poi chi lo sa… Sempre in giro, alla ricerca di lavoretti che gli possano far guadagnare il giusto per sopravvivere. E’ stato un venditore porta a porta, ha consegnato pizze a domicilio, distribuito volantini, e il giorno dopo -appunto- sarebbe partito come conducente di camion.
Certo che gli mancava casa, che voleva tornare al più presto e non ricevere ancora quei soldi che la mamma, per scrupolo, continua a inviargli, di tanto in tanto. Non sa che dorme all’aperto, non sa tutta la verità neanche lei.
Il tempo è volato e si è fatto tardi. Con la promessa di rivederci, ci siamo scambiati i numeri.
Questo incontro non è più avvenuto, perché nei giorni successivi mi ha continuato a contattare telefonicamente, sperando di ottenere un altro appuntamento, però questa volta da soli.
Forse il mio entusiasmo e la mia curiosità nel sapere di più su di lui, o forse l’interesse che ha letto in me fraintendendo le mie intenzioni, lo hanno messo in confusione. Avere qualcuno che si accosti a loro senza pregiudizi non accade spesso, e si può prestare ad equivoci.
Non l’ho più rivisto. Probabilmente si è trasferito in un’altra città, o non l’ho notato tra le centinaia di turisti di cui incrocio lo sguardo quotidianamente. Ma gli auguro di vivere serenamente e raggiungere al più presto tutti i suoi obiettivi, per i quali lotta ogni giorno.