Questa è la storia di due ragazze che si amano, ma che si vedono costrette a nascondere i loro sentimenti per non rimanere imbrigliate nei perentori ed intransigenti sguardi della gente comune.
Sguardi pieni di giudizio, dai quali traspare “schifo” dagli occhi femminili e “perversione” dagli occhi maschili.
Due ventenni, napoletane. Si sono conosciute attraverso una chat: “è l’unico modo “sicuro” per conoscere ragazze in questo contesto”.
Mentre si tengono per mano, quasi a volersi per suggerire vicendevolmente, attraverso la forza del sentimento che le lega, le parole più appropriate per descrivere e raccontare quello che custodiscono nel cuore, narrano due storie segnate dalla sofferenza e da innumerevoli e molteplici disagi.
La prima, grande, vera difficoltà: accettare, accettarsi.
Comprendere quel trambusto emotivo ed emozionale che si fa spazio tra le pieghe dell’anima e imparare a convincerci, conferendogli la forma, la direzione e il senso più consono, meno doloroso, più giusto. Un calvario, un autentico calvario, al quale entrambe le ragazze hanno provato a sottrarsi, così come, probabilmente, avranno fatto, fanno e faranno, tutti gli omosessuali, provando più e più volte ad intrattenere relazioni con persone del sesso opposto, fino a giungere, sopraffatte e rassegnate all’unica conclusione: per quell’anima e per quel cuore, ancor prima che per quel corpo, non è quella la strada che conduce alla felicità.
Due ragazze che si amano, ma che si vedono costrette a nascondersi, a nascondere quel sentimento, in primis, per non arrecare un dispiacere ai genitori.
Entrambe le famiglie hanno compreso l’identità sessuale delle rispettive figlie, ma rigettano quell’idea, innalzando un muro d’invalicabile non accettazione che diventa insormontabile per quelle due anime fragili che spererebbero solo di sentirsi dire: “ti voglio bene così come sei e desidero solo che tu sia felice” per poi perdersi nel benevolo e confortante abbraccio d’amore che solo un genitore può e sa dispensare.
Invece no.
Nel loro caso e chissà in quanti altri casi, i genitori, quei genitori, costringono quelle bocche a confezionare bugie su bugie.
“Ho provato tante volte a dire la verità ai miei, ma il loro atteggiamento di chiusura non mi lascia scelta. Mi sento in colpa perché mi vedo continuamente costretta a mentirgli. Vivo una vita parallela di cui loro non sono a conoscenza, perché non vogliono mettermi in condizione di parlargliene. Quando litigo con la mia ragazza vorrei potermi confidare con mia madre, alla quale ho sempre detto tutto, così come quando esco di casa vorrei poterle dire che mi vedo con lei, per non mentirle più, ma il suo atteggiamento è quello di una persona che non vuole e non sa accettare.”
E poi c’è l’ignoranza della società: i ragazzini che scherniscono i loro abbracci, gli adulti che spiano i loro baci con livorosa perversione e chi le apostrofa con vezzeggiativi ed aggettivi dai toni marcatamente denigratori e dispregiativi.
Neanche due ragazze come loro che ogni giorno osteggiano l’omofobia sanno trovare un senso o una spiegazione ad una forma mentis che con estrema facilità sfocia in episodi vergognosamente violenti.
L’omofobia è la ragione per la quale queste due ragazze si guardano intorno prima di darsi un bacio, perché temono che qualcuno reagisca male al cospetto del loro amore.
L’omofobia è la ragione per la quale, se in treno o in metro si scambiano baci e carezze, i posti accanto a loro rimangono vuoti.
L’omofobia è la ragione per la quale non escono con persone che non conoscono, perché temono di “rovinare la serata” a qualcuno che non può, non sa o non vuole riscontrare in quel legame uno scorcio di “diversa normalità”.
Ma, l’omofobia, non può essere la ragione per la quale un genitore rovina la vita di suo figlio.