Il giorno dopo quella che è stata ribattezzata dai media con il pesante orpello di “strage di Secondigliano” le condizioni di Vincenzo Cinque, il vigile rimasto gravemente ferito nel tentativo di placare e disarmare Giulio Murolo, l’uomo che, armato di fucile, ieri pomeriggio ha ucciso 4 persone e ferito altre sei.
La direzione sanitaria della Asl Napoli 1 ha reso noto che il paziente, ricoverato al San Giovanni Bosco, è al momento sottoposto a Tac per valutare se operarlo. ”Il paziente – ha spiegato Ernesto Esposito, dg della Asl Napoli 1 – ha un emocromo molto basso e le sue condizioni sono preoccupanti”.
Regna ancora lo sconcerto lungo le vie di Secondigliano, all’indomani di un episodio che si fatica a percepire come reale, anche in un contesto dove non è tanto improbabile che la quotidianità sfoci in scene fortemente condite da spari e sangue. Stavolta, però, è diverso.
Stavolta, a sparare è stato un uomo “normale”.
Un uomo incensurato che in casa deteneva un autentico arsenale di fucili regolarmente dichiarati, perché appassionato di caccia.
Nessun legame con la camorra, fedina penale immacolata, l’uomo era abituato a “sanare le ferite della criminalità” in quanto infermiere. Lavorava nel reparto di chirurgia toracica dell’ospedale Cardarelli.
Il direttore sanitario della struttura conferma la sua indole di “persona normale”: “Mai ricevute segnalazioni negative sul suo conto.”
Una persona educata e tranquilla.
I colleghi di lavoro lo definiscono come persona silenziosa e introversa, ma nessuno ha mai ravvisato in lui segni di squilibrio.
E questo getta una tanica di ulteriore sconcerto sulla vicenda.
“Si è chiuso nel silenzio – ha raccontato ieri in conferenza stampa il questore di Napoli Guido Marino – durante le telefonate con l’operatore del 113 è apparso naturalmente in stato di eccitazione, ma non di alterazione psichica”.
Almeno 16 i colpi di fucile esplosi da Murolo, tanti i bossoli ritrovati dalla polizia, ma la ricostruzione della Scientifica, definita “molto complessa” è ancora in corso.
Una mente fredda: così si è consegnato agli uomini in divisa ai quali si è arreso, senza opporre resistenza e senza dire una parola dopo i 40 minuti trascorsi al telefono con un operatore del 113 che lo ha indotto ad arrendersi.
Una tranquillità che, però, non rinviene nei racconti delle persone che hanno assistito a quelle scene di morte.
Un testimone oculare, Luigi Mele, titolare di un negozio di ortopedia, fornisce un racconto di quei concitati momenti che consegna in maniera cruda e marcata la folle ventata di illogica violenza che ha sopraffatto quella “tranquillità” che, fino a ieri, tutti riscontravano nell’ordinaria condotta di Murolo: “E’ stata una sequenza di colpi violentissima. Erano le 15.15 quando abbiamo sentito le detonazioni. Tante, almeno una quindicina. Inizialmente ho pensato che potesse essere una fiction, perché ieri a poche decine di metri da qui hanno girato un episodio della serie Gomorra. Poi ho visto un ragazzo sul motorino, riverso a terra, e l’uomo armato di fucile che entrava e usciva dal balcone della sua abitazione sparando all’impazzata. Ho abbassato la saracinesca come hanno fatto tutti gli altri commercianti e sono scappato. Poi ho cominciato a telefonare ai miei figli e a tutti quelli che conoscevo per dire loro di non avvicinarsi alla zona“.
“Tranquillo” è l’aggettivo che rimbalza sulle bocche di chi conosceva Murolo.
E questo concorre, più di ogni altro aspetto, a lasciare sbigottite le coscienze che scrutano quelle scene di morte, generate da “mani normali”, non avvezze ad abbracciare pratiche violente.
“Tranquillità”, “normalità”: parole che, loro malgrado, escono ridimensionate da questo tragico episodio.
E non sono sole, non sono le sole ad andare in contro al perentorio “niente sarà più come prima”.