Nairobi- I terroristi non trascurano nulla: ogni luogo, ogni modo, ogni occasione sono proficui per spargere sangue. Nel loro mirino, questa volta, un college universitario nella città di Garissa, situata nella parte nord-orientale del Kenya. Un bilancio disastroso: 147 i morti, quasi tutti studenti, 79 i feriti ma mancano all’appello ancora almeno 150 persone tra studenti e professori.
Il raid è stato rivendicato dagli estremisti somali di al-Shebaab, legati ad al-Qaeda. L’attacco è cominciato all’alba: gli estremisti hanno sparato alle due guardie al cancello di ingresso e poi, dopo aver ucciso chiunque gli si parasse davanti, si sono asserragliati nei dormitori. Qui, secondo quanto riportato da alcune dichiarazioni, è cominciata una sorta di “selezione”; il criterio? La religione: resi ostaggi i cristiani e liberati, invece, i musulmani. L’attacco si è protratto dalle 04.30 (ora italiana) alle 20.30 e si è concluso solo grazie all’intervento dell’esercito e della polizia locale che avevano circondato l’edificio.
Quattro dei terroristi sono stati uccisi, uno è in manette. Le autorità non hanno dubbi che dietro l’attentato ci sia Mohamed Mohamud Kuno, ex operatore umanitario, che ha insegnato in una scuola teologica proprio a Garissa prima di radicalizzare le proprie posizione ed unirsi alle azioni terroristiche di al-Shebaab. Su di lui è stata messa una taglia di ben 53 mila dollari.
A ricostruire l’inferno vissuto a Garissa, sono i racconti di alcuni studenti sopravvissuti. Le parole di Winnie Njer, una studentessa riuscita a fuggire, sono ancora piene di paura per l’accaduto: ” Mentre scappavamo, abbiamo visto alcuni corpi decapitati, è stato orribile. Hanno ucciso molte persone”. Ancora più drammatico è il racconto di Wanyama wa Chebusiri, riportato dalla BBC Africa, “una studentessa che era rimasta nascosta per 10 ore in un armadietto, una di quei 500 sopravvissuti “; suo padre aveva guidato per 4 ore e non era stato in grado di trovare sua figlia durante l’attacco. L’uomo aveva parlato alla BBC riguardo la ricerca disperata della figlia all’obitorio, all’ospedale e alla pista di atterraggio militare. Solo più tardi, nel pomeriggio, quando aveva perso ormai ogni speranza, aveva ricevuto un messaggio: “Papà chiamami”. I due ancora non sono stati riuniti, ma il sollievo del padre per la notizia e la sua gioia sono palpabili.
Molte perplessità riguardano la sicurezza dell’università. “Un sopravvissuto, che è rimasto nascosto nei cespugli per 5 ore, ha raccontato alla BBC che gli studenti avevano sollevato la questione lo scorso anno, ma che solo due guardie erano state inviate”. Inoltre, già una settimana fa era stata resa nota dal capo della sicurezza dell’università di Nairobi la possibilità di attacchi di rappresaglia del gruppo terroristico al-Shebaab contro importanti istituzioni a Nairobi, comprese le principali università; misure di sicurezza più serrate erano state, però, adottate solamente in tre atenei della capitale.
Già oggi, i corpi delle vittime sono stati trasportati a Nairobi per l’identificazione. Quanti genitori soffriranno nel vedere i propri figli massacrati ingiustamente? Quante altre vite devono essere “recise” in una guerra che di “santo” non ha nulla?