L’Italia è un Paese apparentemente democratico, che, negli ideali e nella condotta, si dimostra fin troppo avvezzo nel personificare il principio dei “due pesi e due misure”.
Questo risulta dannatamente palese, a chi erge a metro valutativo del quale avvalersi per esaminare la realtà dei fatti, la più sincera e spregiudicata onestà intellettuale.
Ieri, allo Stadio Olimpico di Roma, è stata scritta una delle pagine più vergognose della storia del calcio.
Ieri, allo stadio Olimpico di Roma, è andata in scena l’ennesima “sceneggiata all’italiana” in cui si è reso tangibile appurare chi è che detiene il potere.
“I signori delle curve”, ancora loro, ancora una volta loro, irrompono nel territorio di rigorosa e stretta competenza del calcio giocato per palesare l’egemone e belluino potere di chi “realmente comanda”.
Invasione di campo, faccia a faccia a muso duro contro i “senatori romani” Totti, De Sanctis e De Rossi, invitati sotto la Curva Sud a parlare con i tifosi. In particolare, il capitano romanista ha “trattato” a lungo con un capo ultrà, ricordando una scena già vista mesi addietro, allorquando era il capitano del Napoli, Marek Hamsik, a dialogare con il capo dei Mastiffs, gruppo organizzato che da decenni vige in curva A.
“Genny a’ Carogna”, però, con quei tatuaggi e quel piglio “da cattivo”, forte di un passato che lo riconduce alla camorra e, soprattutto, per merito di quella maglietta che invoca “Spaziale libero”, ha tutte le carte in regola per fungere da “capro espiatorio” ideale. La sua non fu un’invasione di campo, in quanto fu invitato dai suoi interlocutori a scendere dalla balaustra e nel mezzo di quel trambusto c’era un certo Ciro Esposito, ferito, scopriremo mortalmente – dopo 52 giorni di agonia – da un altro ultras che anni addietro, valicò il medesimo terreno di gioco dell’Olimpico per pretendere la sospensione del derby capitolino, forte del falso ed inesistente alibi della morte di un bambino investito ed ucciso da una camionetta della polizia, durante taluni scontri avvenuti, ancora una volta, all’esterno dello stadio.
Daniele De Santis, detto “Gastone”, simbolo emblematico dell’egemonia di cui dispongono gli ultras giallorossi: nel ’96, arrestato insieme ad altri tifosi ed esponenti dell’estrema destra romana, perché autori di una serie di ricatti all’allora presidente della As Roma Franco Sensi. Biglietti omaggio o diserzione e incidenti: questo il ricatto di Gastone e company al petroliere capitolino, ma ancora prima, nel ’94, l’allora 28enne De Santis fu arrestato insieme ad altre 18 persone per gli scontri durante Brescia-Roma, in cui fu accoltellato il vice questore di polizia Giovanni Selmin. In quell’occasione, per poco non ci scappò il morto: i giallorossi ferirono gravemente a colpi d’ascia 16 agenti. De Santis – di cui i tifosi romanisti ascoltavano la voce nelle radio private – fu assolto insieme ad altri quattro tifosi per “non aver commesso il fatto”.
Un ultrà capace di esercitare una forza politica ben più egemone e rispettata “dai piani alti” perché, – si scoprirà nell’era contemporanea – beneficiario dei favori e delle amicizie di Carminati e company, fautori dell’ennesimo scempio squisitamente italiano che porta il nome di Mafia Capitale.
Analogamente, lo scorso 4 maggio, all’indomani dell’agguato teso ai tifosi partenopei, – a dispetto e senza il rispetto, doveroso e confacente, nei riguardi di un ragazzo perbene che versa tra la vita e la morte – sui giornali e in tv, c’era spazio solo per il “ghigno da cattivo” di Gennaro De Tommaso.
Oggi, all’indomani di quel segnale tangibile che funge da inequivocabile sentore che “quell’assetto di stampo mafioso” emerso in più circostanze, stia ancora, sovrano ed indisturbato, dettando la sua criminosa egemonia all’interno di quel contesto, i media stanno vergognosamente SABOTANDO la notizia, minimizzandola e rivelando una palese incapacità di accendere i riflettori sulla questione, relegandola nella sbrigativa ed imbarazzante definizione di “dura contestazione da parte dei tifosi giallorossi”.
Escono, rientrano, irrompono in campo. E nessuno batte ciglio.
I calciatori giallorossi – che notoriamente intrattengono rapporti con questi personaggi, così come ampiamente emerso mediante le intercettazioni telefoniche nell’ambito dell’inchiesta di Mafia Capitale, oltre che da innumerevoli altri elementi – sono ben consapevoli della pericolosità insita nelle loro minacce ed è probabilmente per questo che preferiscono “ingraziarseli”.
Scorte ai pullman della Roma e misure di sicurezza a Trigoria per il rischio non di contestazioni, ma di aggressioni, motivano i volti tesi del “Pupone” e degli altri calciatori, oggettivamente allarmati da quelle minacce, perché ben consapevoli del potere insito in quelle “voci grosse”.
Il silenzio che ha accompagnato il match, dopo l’abbandono dei tifosi giallorossi presenti all’Olimpico, altro non è che la cassa di risonanza di quello con il quale si bendano gli occhi i media.
E non perché non si tratti di Napoli, piuttosto perché è una vicenda che coinvolge Roma.
La “capitale”.
E probabilmente non solo “dell’Italia”, ma “di quell’Italia”: di Gastone, di Carminati, “dei signori delle curve”, della stampa, incapace di tener fede alla “vocazione” che ne dovrebbe, sempre ed incondizionatamente, animare gli intenti per servire il potere, quel potere, che nulla governa e che tutto sfascia.
In verità, Napoli, così come il resto dell’Italia che non si riconosce in “quell’Italia” deve essere riconoscente ai supporter giallorossi che hanno abbandonato la curva ieri, perché, attraverso quel chiassoso silenzio, hanno consentito, ancora una volta, alle ipocrisie e alle irregolarità che vigono nel paese dei “due pesi e due misure” di emergere in tutto il loro vergognoso squallore.