Era il 24 febbraio scorso quando Salvatore Sollima, 44 anni, si presentava davanti alla magistratura di Palermo. Si tratta di un uomo libero, sposato, con una figlia di 7 anni, che ha scontato la sua pena in carcere per estorsione. Sollima è lì per una ragione: raccontare i retroscena mafiosi che fondamentali sono stati per l’operazione denominata “Jafar”, che nei giorni scorsi ha visto il fermo di 7 persone. Il neo-pentito bagherese ha comunicato ai magistrati della Dda di Palermo la propria volontà di discostarsi dal legame mafioso per assicurare un futuro senza crimini a se stesso e più sereno per la sua famiglia. Durante il primo interrogatorio Sollima si è reso responsabile di gravi reati per cui nemmeno risultava indagato, a dimostrazione della genuinità della sua collaborazione. Proseguendo – si evince da una nota dei magistrati nel provvedimento di fermo – si sarebbe concentrato sul clan mafioso di Misilmeri. “Deve sottolinearsi, a tale proposito, che Sollima ha indicato, descrivendoli con dovizia di particolari, alcuni episodi, che lo hanno visto protagonista, dai quali si possono desumere, in via immediata e diretta, le attività delittuose di alcuni soggetti, appartenenti a Cosa nostra, volte a realizzare gli interessi criminosi di detto sodalizio” – hanno messo nero su bianco i magistrati – “In particolare, così consentendo un primo riscontro della sincerità delle sue propalazioni, Sollima ha riferito in merito alla presenza di armi occultate nel territorio nonché di un rilevatore di microspie, così consentendo, in data 25 febbraio 2015, il rinvenimento delle armi e delle munizioni e l’arresto di Andrea Andolina trovato in possesso di una pistola semiautomatica calibro 7.65 con all’interno otto cartucce ed un revolver calibro 38 special con matricola abrasa con all’interno 5 pallottole calibro 38 speciali”