Il Festival internazionale del cinema di Berlino è un evento prestigioso che si svolge nella capitale tedesca solitamente nel mese di febbraio e premia il miglior film candidatosi.
L’Orso d’oro, ossia il primo premio dell’appena conclusasi 65esima edizione della Berlinale, va al regista iraniano Jafar Panahi, per il suo “Taxi”: attraverso telecamere interne al “suo” taxi (recita la parte di un tassista), sono raccontate storie dai passeggeri. Niente di ridondante o costruito, soltanto i problemi di tutti i giorni, buttati fuori da gente comune con spontaneità. Solo sullo sfondo qualche critica al regime.
Quelle critiche che son costate care tempo fa allo stesso regista, ora costretto a non girare film se non di nascosto, a non uscire dal Paese e a non rilasciare interviste. Questo è il terzo film realizzato e diffuso clandestinamente, da quando nel 2010 a Panahi è stato proibito tutto questo: il primo era un documentario dal titolo “This is not a film”, il secondo drammatico “Closed curtain”. Questa la sua giustificazione all’ostinazione imperterrita di correre rischi sempre più gravi: “Sono un regista. Non so fare altro che film. Il cinema è il mio modo di esprimermi e lo stesso significato della mia vita“.
Produce Panahi, conquista le sensibilità, vince, ma non può vivere di persona la soddisfazione e l’orgoglio del ritirare un premio. Presente al Festival la moglie, che tuttavia non può rilasciare interviste. L’unica a poter rappresentare una parte del cuore di Jafar è la nipotina, che sale sul palco, commossa, e non riesce a commentare la vittoria di un familiare a lei così caro.
A Berlino sono dispensati anche altri premi, tra i quali quello al film per il miglior cameraman, i migliori attori, e vari ex aequo, motivati dalla giuria dalla quantità di valido materiale ricevuto.
L’Orso d’argento (secondo posto) va a Pablo Larraín con il suo “El club”, sugli abusi sessuali all’interno dell’ambiente ecclesiastico.
“Vergine giurata”, l’unico film italiano firmato da Laura Bispuri, con la partecipazione di Alba Rohrwacher, torna indietro a mani vuote.