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3 febbraio 1988: La strage del Cermis

Redazione Napolitan di Redazione Napolitan
3 Febbraio, 2015
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3 febbraio 1988: La strage del Cermis
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Venti vittime.

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Tre italiani, sette tedeschi, cinque belgi, due polacchi, due austriaci ed un olandese. Nessun ferito o sopravvissuto. Muoiono ventisette anni fa, il 3 febbraio 1998. Il loro ultimo istante di vita sospeso a 150 metri dal suolo, all’interno della cabina di una funivia, quella del Cermis, in Val di Fiemme.

A ucciderli non è un incidente all’impianto, ma il passaggio di un aereo militare americano, un Grumman EA-6B Prowler, al cui comando c’è un ufficiale dei marines, il capitano Richard Ashby, decollato per un volo di addestramento dalla base di Aviano alle 14.36 di quell’infausto giorno. Con il primo capitano ci sono a bordo altri tre parigrado: il navigatore Joseph Schweitzer, l’addetto ai sistemi di guerra elettronica William Rancy e l’addetto ai sistemi di guerra elettronica Chandler Seagraves.

Sul fatto che il mezzo stia volando troppo basso si è d’accordo fin dall’inizio, ma cosa sia effettivamente accaduto e in base a quale dinamica si sia arrivati a quella strage non è chiaro subito.

In un primo momento le autorità militari americane cercano di far passare la strage di cui sono, pienamente, responsabili per un incidente analogo a quello del ’76, in cui persero la vita 42 persone per la rottura del cavo portante dello stesso impianto, ma, qualche volta, le bugie hanno le gambe corte e la verità si è fatta strada prepotentemente.

I magistrati ottengono l’immediato sequestro dell’aereo, che le autorità statunitensi stavano già smontando per  farlo sparire, ed una ricostruzione dei fatti:  I due piloti, alla loro ultima missione sulle Alpi prima di lasciare l’Italia, volavano per puro divertimento ad alte velocità e basse quote, completamente privi di quella responsabilità che ci si aspetta da uomini addestrati a proteggere, portandosi a bordo una videocamera per fare delle riprese amatoriali.

A provocare tutti quei morti è stata la coda del Prowler che trancia il cavo della funivia durante le sue evoluzioni, nelle  prime ore del pomeriggio.

Viene ritrovato un pezzo di cavo che era rimasto incastrato nel veivolo dopo l’incidente:  apparteneva alla funivia.

Nonostante le scuse di Clinton e qualche lacrima di rito da parte del governo USA, allo Stato italiano non viene ovviamente concesso di processare in Italia i due responsabili; furono, invece, sottoposti ad un processo-farsa in America, volto unicamente a non scalfire l’onore del Corpo dei Marines.

Venne sostituita la squadra investigativa originaria da una controllata dagli stessi Marines che tentarono  di segretare le indagini; vennero insabbiate e distrutte prove che potessero incolpare i  militari, come il video girato durante il volo, distrutto il giorno dell’incidente dallo stesso Ashby e sostituito con un nastro vuoto inserito nella telecamera, come confessato dal pilota anni dopo la sua assoluzione.

Inutile dire che le conseguenze penali per i quattro ufficiali furono molto meno pesanti rispetto al massacro compiuto. E anche i risarcimenti ai familiari, inizialmente fissati a 40 milioni di dollari da parte del governo di Washington, sono stati una pena infinita, ricaduta sulle spalle delle amministrazioni della provincia autonoma di Trento e dello Stato italiano e solo successivamente rimborsate in parte (per il 75%) da oltre oceano.

Solo anni dopo, nel 2009, il pilota Joseph Schweitzer ha detto al National Geographic ciò che effettivamente accadde:

“Ridevano e filmavano le montagne, il paesaggio splendido del lago di Garda. Mentre l’ aereo violava le regole, volando troppo basso e troppo veloce, giravamo un video ricordo delle Alpi: un souvenir per il pilota, all’ultima missione prima di tornare negli Stati Uniti. Quando ci hanno detto che avevamo ucciso così tante persone ho pianto come un bambino. Mi sono chiesto perché noi siamo vivi e loro sono morti. Ho bruciato la cassetta. Non volevo che alla Cnn andasse in onda il mio sorriso e poi il sangue delle vittime”.

Vittime che avevano un nome, un cognome, una vita e sognavano un futuro.

Noi li ricordiamo così:

Hadewich Antonissen (24, Vechelderzande), belga;

Stefan Bekaert (28, Lovanio), belga;

Dieter Frank Blumenfeld (47, Burgstädt), tedesco;

Rose-Marie Eyskens (24, Kalmthout), belga;

Danielle Groenleer (20, Apeldoorn), olandese;

Michael Pötschke (28, Burgstädt), tedesco;

Egon Uwe Renkewitz (47, Burgstädt), tedesco;

Marina Mandy Renkewitz (24, Burgstädt), tedesca;

Maria Steiner-Stampfl (61, Bressanone), italiana;

Ewa Strzelczyk (37, Gliwice), polacca;

Philip Strzelczyk (14, Gliwice), polacco;

Annelie (Wessig) Urban (41, Burgstädt), tedesca;

Harald Urban (41, Burgstädt), tedescco

Sebastian Van den Heede (27, Bruges), belga;

Marcello Vanzo (56, Cavalese), manovratore della Cabina in discesa, italiano;

Stefaan Vermander (27, Assebroek), belga;

Anton Voglsang (35, Vienna), austriaco;

Sonja Weinhofer (22, nata a Monaco, domiciliata a Vienna), austriaca;

Jürgen Wunderlich (44, Burgstädt), tedesco;

Edeltraud Zanon-Werth (56, nata ad Innsbruck, residente a Bressanone), italiana.

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