Lo scandalo di Mafia Capitale che con tanti titoli continua a riempire le maggiori testate giornalistiche nazionali creando stupore e incredulità, in realtà, seppure in altre vesti, era già apparso nelle sale cinematografiche del 1963 attraverso la pellicola più nota del regista Francesco Rosi, “Le mani sulla città”, scomparso lo scorso sabato a Roma. Il regista napoletano, nato da una famiglia benestante e compagno di scuola del Presidente della Repubblica Napolitano, aveva vissuto l’epoca della corruzione e della speculazione edilizia che hanno reso Napoli e la sua provincia un groviglio di mostri ecologici e disastri ambientali, ma aldilà dell’ambientazione cinematografica, aveva rappresentato la vastità e la diffusione della questione.
La formazione giurisprudenziale prima, come da storica tradizione napoletana, la passione per le illustrazione per bambini e le esperienze in radio poi, lo avvicinano a personaggi della Napoli illustre del secondo dopoguerra, quali Aldo Giuffrè e Giuseppe Patroni Griffi. Una Napoli dalla quale si allontana seguendo la strada dello spettacolo come assistente teatrale e aiuto regista, approdando a Roma e da qui esordendo come regista di opere di denuncia sociale. Le tante pellicole che si susseguono negli anni occupano i primi vent’anni della sua carriera allontanandolo dalle rappresentazioni partenopee alle quali aveva dedicato “Le mani sulla città”. Solo dal 2003 in poi il suo nome si riavvicina fortemente alla città attraverso la rappresentazione teatrale di “Filumena Marturano”, “Napoli milionaria” e “Le voci di dentro”, opere firmate da Eduardo De Filippo e messe in scena dalla regia minuziosa e sensibile di Rosi che fotografano una Napoli passionale, difficile e psicologicamente profonda. E’ nella rappresentazione di tali opere l’eredità di Francesco Rosi lasciata alla città, un regalo fatto ad una città vissuta e raccontata.
E di questa Napoli. Rosi era un fedele ritrattista, amava creare non solo una trama veritiera e pulita ma rappresentarne con tratti vividi e spontanei ogni aspetto. La paura e la tensione riprodotti sui volti degli attori in fuga da un palazzo che crolla realmente al “ciak…si gira!” miravano in fondo a questo, così come la palese intenzione di voler portare personaggi e fatti inventati in realtà sociali e ambientali realmente esistenti, nella loro veste sporca e sincera. Napoli era dipinta come in un fermo immagine, senza veli di copertura, mostrando al mondo la bellezza che si ammira dal suo golfo e, insieme, le difficoltà che si incontrano tra i vicoli e i balconi. Così come Pino Daniele cantava i “mille colori” di Napoli, ora anche del regista si ricordano le forti pennellate regalate alla città, ugualmente incisive e realistiche, simbolo di una forza disperata e un patrimonio culturale, quello partenopeo, che diventa di tutti.
Anche nei suoi ultimi anni Rosi non aveva smesso di interessarsi delle questioni che riguardavano Napoli e al rogo alla Città della scienza commentava :”Bisogna capire e far capire, denunciare, mostrare”. Il suo intento da sempre è quello di denunciare non per puro spirito di cronaca, ma piuttosto perché fermamente convinto che il bene di Napoli fosse tutto qui, nella capacità di vedere, raccontare, far conoscere e lottare insieme.