La definizione di mito riportata da un’autorevole dizionario della lingua italiana è questa: “idealizzazione di un evento o personaggio storico che assume, nella coscienza dei posteri o anche dei contemporanei, carattere e proporzione quasi leggendari, esercitando un forte potere di attrazione sulla fantasia e sul sentimento di un popolo o di un’età.”
Queste ultime righe che insistono sul potere di attrazione esercitato sul sentimento di un popolo, chiariscono e giustificano l’opportuno affiancamento del termine “mito” alla figura di Pupella Maggio. Un accostamento semantico che riassume la capacità comunicativa di questa grande artista napoletana, in grado di creare un rapporto empatico con il pubblico teatrale e televisivo.
Anche la sua storia, il suo legame con il mondo celato dietro un sipario, inizia proprio come una leggenda, come un racconto mitico di quelli che narrano le gesta di personaggi ed eroi legati al proprio destino sin dalla nascita. Uno di quei racconti in cui dal principio si delineano i caratteri che faranno grande un uomo o una donna.
Giustina infatti, questo il suo vero nome, apre la prima volta gli occhi sul mondo, all’interno di un camerino del teatro Orfeo (non più esistente). Nasce proprio lì, dietro le scene, il 24 aprile 1910. Figlia d’arte, il padre Domenico fu un importante capocomico del teatro partenopeo e la madre, Antonietta Gravante, legata alla famiglia dei Gravante, gestori del circo equestre Carro dei Tespi. Sorella di altrettanti attori quali Enzo, Beniamino, Dante e Icadio e sorella di Rosalia e Margherita, fa il suo esordio sulle scene ad appena due anni ne La Pupa Movibile di Eduardo Scarpetta.
Un evento determinante, quasi l’imprinting che darà avvio alla sua straordinaria carriera di attrice. Nella sua autobiografia Poca luce in tanto spazio, scrive: “A due anni mi portarono in scena dentro uno scatolone legata proprio come una bambola perché non scivolassi fuori. E’ così il mio destino fu segnato. Da Pupatella attraverso la poupée francese, divenni per tutti Pupella nel teatro e nella vita”.
Dopo l’esordio, continua a recitare nella compagnia del padre. In seguito alla morte dei genitori, cambia molte volte città Pupella, da Roma, abbandonata a causa di amicizie con ebrei che nascondeva in casa, partì alla volta di Terni dove iniziò a lavorare in un’acciaieria, curando anche la regia degli spettacoli del dopolavoro. Da qui poi Napoli, di nuovo Roma e poi Milano.
Il momento della svolta, la vera consacrazione arriva nel 1954, quando entra a far parte della Scarpettiana al Teatro San Ferdinando, la compagnia diretta da Eduardo De Filippo. E’ proprio ad Eduardo che Pupella esprime la sua gratitudine in occasione di un ricordo dedicato al maestro, con parole di grande dolcezza: “Eduardo a me ha insegnato come si vive, perché si vive, io guardavo lui, studiavo lui […], prima di inchinarmi al pubblico mi inchinavo a lui […], gli applausi del pubblico vengono da Eduardo, se lui non mi dava quest’occasione, il pubblico a me non mi applaudiva, e questo è tutto”. Una sincera dolcezza ed emozione nella voce tremante che ci dà l’opportunità di conoscere la sua tenerezza molte volte celata dalla forza ed irruenza dei suoi personaggi.
Pupella calca le scene in opere memorabili come Filumena Marturano (dopo la scomparsa di Titina De Filippo), Natale in casa Cupiello, Sabato, domenica e lunedì, Le voci di dentro. E risuonano oggi, ed ancora continueranno a vibrare nelle memorie di un futuro prossimo e lontano, le celebri battute recitate con voce graffiante. Tra tutte, la più famosa esortazione: “Lucariell’ scetet’ song e nov” e gli immortali battibecchi con Lucariello in Natale in casa Cupiello. O il sogno di Donna Cristina in Le voci di dentro in cui con straordinaria maestria racconta il terribile incubo in cui è stata protagonista, con un dolore ed una sofferenza semplicemente reali, o ancora lo straordinario monologo di Donna Rosa in Sabato, domenica e , lunedì.
La consacrazione avviene anche sul grande schermo, diretta da grandi registi tra i quali: Camillo Mastrocinque (Sperduti nel buio, 1947), Luigi Comencini (Mogli pericolose, 1958), Vittorio De Sica (La ciociara, 1960), Nanni Loy (Le quattro giornate di Napoli, 1962), Federico Fellini (Amarcord, 1973) e Giuseppe Tornatore (Nuovo Cinema Paradiso, 1988). Pupella, anche in ruoli non da protagonista, ad esempio in Le quattro giornate di Napoli, è riuscita a creare un’empatia con il pubblico, un coinvolgimento emotivo ed esperienziale potente e disarmante come nel caso del ruolo della madre che riconosce nel volto angelico del giovane ucciso durante gli scontri, il proprio figlio, e che cullandolo con voce incredula e straziante lo accompagna nel suo ultimo viaggio verso casa o cor’ e mamma soje.
Pupella muore a Roma l’8 dicembre del 1999, nel giorno dell’Immacolata.
La sua ultima apparizione è di qualche mese prima nel film Fate come noi di Francesco Apolloni. Lascia la straordinaria testimonianza del suo io recitante, un teatro fatto dalla pura essenza di un’anima votata a quella vita che si schiude al di là di un sipario aperto. Quella rassicurante realtà parallela che ci permette di vivere di emozioni richiamate dalla voce limpida di chi agisce sulla scena.