Quando tramonta il sole, cala il sipario su Napoli.
Perché, vestismoci di quel minimo d’onestà necessaria per non nasconderci dietro un fatiscente e sterile alibi: di notte è molto più facile agire per quei napoletani che si aggirano tra vicoli e periferia animati da intenzioni diverse da quelle sortite dalla brezza marina e dal candore delle stelle.
Le strade meno popolate e il buio fungono da complici involontari di chi nella notte cerca trasgressione, vendetta, rivalsa o è soltanto malignamente condizionato da un’indole imprevedibile ed incontrollabile che può proiettare quel corpo verso qualsiasi azione o reazione.
Poi ci sono loro, i ragazzini, gli scugnizzi.
Di giorno sono scaltri, di notte diventano “scetati”: a loro non piace compiere marachelle o piccoli crimini, loro desiderano solo giocare a pallone.
È così che gli scugnizzi di Napoli esercitano e fanno rimbombare la loro egemonia sul territorio: in Piazza del Plebiscito, – che da sempre rappresenta il più grande campo di calcio della città – a Piazza del Carmine e nell’ampio androne che ntroduce le scale del Duomo di Napoli, nelle periferie e nel cuore delle dimenticate province. E soprattutto nella Galleria Umberto I di Napoli.
Quella galleria divenuta una delle “zone più calde” della città, in seguito al tragico epilogo al quale è andata incontro la vita del 14enne Salvatore Giordano, colpito mortalmente dal crollo di alcuni calcinacci. In seguito al triste accaduto è stato interdetto l’ingresso che da via Toledo conduce alla Galleria e in seguito al riscontro di nuove criticità da parte dei vigili fuoco sono state individuate quattro zone a rischio, pertanto transennate dallo scorso luglio.
Ma la sera, in quella stessa Galleria si gioca a pallone.
Una pratica di per sé opinabile, poiché, sovente, vetrate e monumenti diventano facile e prevedibile oggetto di pallonate che concorrono a deturpare monumenti ed edifici.
E poi gli schiamazzi procreati dalla foga che accompagna la partita e che si protraggono fino a notte fonda.
Eppure gli scugnizzi agiscono indisturbati, concedendosi il sereno privilegio di giocare a pallone fino a quando ne hanno voglia.
E cosa ne pensano le loro madri?
Come vivono quest’abitudine e perché l’assecondano?
Come fanno a star tranquille sapendo che i loro figli giocano a pallone nel cuore della notte, con tutti i tipi loschi che ci sono in giro e per giunta in una zona pericolante della città?
E soprattutto: perché le forze dell’ordine gli consentono di giocare indisturbati? Dove sono le forze dell’ordine?
Forse li rincuora il fatto che giocano “solo” a pallone e che quindi è più opportuno adoperarsi per intervenire ad arginare ben più gravi e criminosi fenomeni.
E se uno di quei bambini ci rimane secco?
Di chi sarà la colpa: delle madri, delle Istituzioni o del Fato avverso?
Perché mai questo deve sempre essere il Paese che per attivarsi ha bisogno che “ci scappi il morto”?
Ci saranno mai risposte esaustive a queste domande?
Intanto, per fare in modo che le cose cambino, che la società cambi, è doveroso ed indispensabile non smettere mai di porsele.