In merito a quanto accaduto dentro e fuori allo stadio Olimpico di Roma, lo scorso 3 maggio, prima, durante e dopo la finale di Coppa Italia è stato detto tutto e il contrario di tutto.
Fatti reali, presunti tali, fatti artefatti ed artificiosi che lasciano delineare il sentore che non si intende far luce sulla verità, ma, piuttosto, intelaiare “diverse verità”.
I ruoli sembrano essere stati già ben designati: Genny a’ carogna “il cattivo”, perché “comanda” i tifosi, perché istiga alla violenza, perché indossa una maglia oltraggiosa.
Daniele De Santis “il martire” che, a dispetto del provvedimento cautelare che avrebbe vietato la sua presenza in quella sede, giusto per ammazzare la noia, quel pomeriggio, si cimenta nel lancio di petardi contro un pullman di supporter partenopei e per difendersi dalla bruta aggressione di un esercito di napoletani, null’altro ha potuto fare che sparare, da terra, mentre continuavano a pestarlo e, per giunta, con quattro coltellate conficcate nella pancia, riuscendo, però, a colpire al torace Ciro Esposito, alla spalla Gennaro Fioretti e alla mano Alfonso Esposito e per giunta con una pistola che stiamo ancora cercando di capire, come e perché, secondo la difesa di Gastone, si sarebbe ritrovato tra le mani.
Ciro Esposito “il fesso”: perché, in ogni storia che si rispetti, il più ingenuo è sempre quello che becca la pallottola e ci rimette la pelle. La sua colpa è quella di non essere stato abbastanza scaltro o furbo, come se un tifoso armato di passione che giunge alla volta di una partita della sua squadra del cuore dovrebbe vivere quell’emozione allertato dalla paura che può rischiare di morire.
Ancor più noto è quanto accaduto all’interno dell’Olimpico di Roma nell’arco dei minuti che hanno preceduto l’incipit della partita.
O meglio, i media, fin da subito, hanno fatto in modo che fosse ben visibile quanto stesse accadendo a ridosso della curva che ospitava i tifosi del Napoli, ma vi siete mai chiesti cosa avvenisse, in contemporanea, sotto la curva viola?
Esattamente la stessa scena è la risposta esatta.
Come dimostrano le immagini che allego all’articolo, i dirigenti viola analogamente disquisivano con i supporter della Fiorentina, i quali, al pari di quelli partenopei – contro i quali, però, la Digos di Roma ha fatto scattare provvedimenti tanto severi quanto inspiegabili – stanziavano all’interno del rettangolo verde.
Eppure, la loro, non viene stimata essere un’invasione di campo.
Le immagini hanno un potere forte: immortalano la verità e fanno più rumore delle parole.
Pertanto, concludo quest’articolo rivolgendo un pensiero alla vedova Raciti:
Egregia signora,
Lei che dispone di un potere mediatico forte ed altisonante, disponga della sua voce per sostenere la battaglia di una madre che, esattamente come lei, invoca giustizia per il lutto che le tinge il cuore.
Ciro Esposito non era un servo dello Stato, ma un cittadino semplice che si era recato allo stadio per assistere ad un incontro di calcio, ma si è battuto a tutela dell’incolumità della gente comune, esattamente come avrebbe fatto suo marito. Questo fa di lui un eroe, questo merita un rispetto ed un decoro diversi da quelli che sta ricevendo, soprattutto da chi dovrebbe operare per garantirgli giustizia.
Lei crede di doversi indignare al cospetto di una “carogna”, ma continua ad ignorare che ben più riprovevole è la condotta di taluni sciacalli che impietosamente continuano ad azzannare la memoria di Ciro non consentendogli di riposare in pace.