Fin dagli attimi immediatamente successivi agli scontri di Roma, forte ed inequivocabile era il sentore che Gennaro De Tommaso, più noto come “Genny a’ carogna” fosse il capro espiatorio ideale.
“L’uomo della camorra”, con la faccia e i tatuaggi da cattivo, con quella maglia “contro i servi dello Stato”.
Tant’è vero che le sue foto affiancate ed introdotte da “titoloni ad effetto”, quali: “Capo-ultrà decide di far giocare la partita”, “La Camorra comanda anche il calcio”, il giorno successivo hanno fatto il giro del mondo.
A fare notizia era “Genny a’ carogna” e non quel corpo perforato da un proiettile che verteva in un letto d’ospedale nel quale, dopo 52 giorni di agonia, si è spento.
Negli ultimi giorni, forte era il sentore che “nell’aria” si stesse pericolosamente insediando un tornado che spira in direzione opposta rispetto al vento di giustizia rivendicato dalla famiglia Esposito e, con loro, dall’intera città di Napoli.
Prima “la comparsa” di quattro coltellate sulla pancia di De Santis, delle quali non vi è traccia nel referto dell’ospedale Gemelli, dove fu immediatamente ricoverato dopo gli scontri dello scorso 3 maggio, ma rilevate “solo” a distanza di 4 mesi dal personale dell’ospedale di Viterbo dov’è attualmente ricoverato.
Coltellate che “servono” a fortificare l’ipotesi di legittima difesa.
L’ennesimo, macabro risvolto è giunto oggi e vede protagonista, ancora una volta, Genny a’ carogna.
La Digos di Roma, infatti, ha posto agli arresti domiciliari l’ultrà partenopeo, per i fatti avvenuti all’interno e all’esterno dello stadio Olimpico di Roma.
De Tommaso è considerato «leader e istigatore delle violenze» che si sono verificate alcune ore prima della finale di Coppa Italia, quando un gruppo di un centinaio di napoletani si concentrò in piazza Mazzini con fumogeni e petardi nell’intenzione, secondo l’accusa, di tendere agguati a tifosi della Fiorentina. L’ordinanza fa riferimento a condotte criminose ulteriori rispetto a quelle in cui ha perso la vita Ciro Esposito, che hanno caratterizzato il pre-partita della finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina dello scorso 3 maggio. Si tratta di episodi avvenuti all’esterno dello stadio, come i casi di resistenza nei confronti degli operatori di Polizia da parte di un gruppo di circa 100 ultras capeggiato da Gennaro De Tommaso, ma anche all’interno dello stadio.
Gennaro De Tommaso è accusato anche di violazione «sul divieto di striscioni e cartelli incitanti alla violenza o recanti ingiurie o minacce».
L’ultrà “deve pagare” per la maglietta che indossava.
Questo appare ancor più chiaro.
Quella scritta «Speziale libero», con riferimento al ragazzo accusato di aver causato la morte dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, nel 2007, non può passare impunita.
La morte di Ciro si, ma quella maglietta no.
Almeno la versione della trattativa tra la polizia e il capo ultras è stata smentita: «Non ci fu trattativa – ha detto il dirigente della Digos di Roma, Diego Parente – De Tommaso ha avuto un comportamento di negazione dell’autorità tanto che chiese di parlare con il capitano del Napoli, Hamisk».
Misure cautelari anche per altri quattro ultras del Napoli: per loro è stato disposto l’obbligo di firma, in quanto accusati a vario titolo di concorso in resistenza a pubblico ufficiale e violazione della normativa sulle competizioni sportive, in particolare «lancio di materiale pericoloso ed invasione di campo in occasione di manifestazioni sportive».
Tre di loro sono stati riconosciuti attraverso le immagini delle telecamere e facevano parte del gruppo di 100 ultrà capeggiati da Genny ’a carogna che si erano radunati a Piazza Mazzini e lungo la strada verso lo stadio, scortati dalla polizia, lanciarono fumogeni contro gli agenti e le auto.
Il quarto tifoso azzurro è un altro capo ultrà, leader della Curva B, Massimiliano Mantice, accusato di scavalcamento della rete che delimita il campo di gioco dagli spalti.
Secondo gli investigatori, Mantice non faceva parte del gruppo dei 100 ultras che rispondeva agli ordini di Genny a’ carogna, ma sopraggiunse in un secondo momento a Tor di Quinto, subito dopo il ferimento di Ciro e fu uno di quelli che si avvicinò per soccorrerlo.
“Sono indignata. Invece di arrestare quelli che hanno partecipato all’uccisione di mio figlio, arrestano Gennaro che invece avrebbe dovuto avere un premio per quello che ha fatto, evitando altri incidenti”.
Questo il commento partorito da Antonella Leardi, la mamma di Ciro Esposito, dopo aver appreso la notizia.
Un’anima lacerata da un tragico ed indicibile dolore che chiede e rivendica solo giustizia e oggi è adirata per il provvedimento della magistratura romana nei confronti di Genny ‘a carogna.
“Gennaro allo stadio è stato interpellato dalla società. – Ha dichiarato ancora la donna – Ha fatto solo da intermediario con tutti i tifosi presenti all’Olimpico per calmare gli animi. Subito dopo la partita è corso all’ospedale per essere vicino a mio figlio che lottava per non morire. Adesso, invece di lavorare per dare giustizia a mio figlio ed arrestare i complici del presunto assassino che sono ancora a piede libero si sposta l’attenzione generale su Gennaro. Basta essere tartassati, ora si riparla di Napoli e di Gennaro invece di parlar di chi ha ammazzato Ciro. Ma che vogliono ancora da noi?”.
Signora Antonella, non è lecito saperlo.
Tuttavia, appare sempre più chiaro ciò che noi dobbiamo seguitare a pretendere da loro: giustizia.
Sempre e solo giustizia.