Non si può e non si deve aver paura di urlare, rivendicare e lottare in nome di due imprescindibili principi quali verità e giustizia.
Da quando Ciro Esposito è morto, “verità e giustizia” sono le due parole che incessantemente ed impietosamente grondano dalle foto che ricordano chi era e chi poteva seguitare ad essere, se a Roma, lo scorso 3 maggio, si fosse solo giocato a calcio.
Nei suoi occhi, nel suo sorriso, nella desolata disperazione di chi lo ha amato ed eternamente continuerà a farlo e che con estrema ed ammirevole dignità ha saputo tramutare quel vuoto e quel dolore indicibili in un educativo canto di civiltà, è altresì imbastita quella legittima ed imprescindibile richiesta di “verità e giustizia”.
Eppure, le dinamiche dei fatti, nelle ultime ore, vertono in una direzione inaspettata e paradossale.
O meglio, sono forzatamente ed artificiosamente condotte verso una traiettoria che con non collima con “verità e giustizia”.
Un referto stilato dai medici dell’ospedale di Viterbo, struttura presso la quale De Santis è tuttora ricoverato, in attesa di essere sottoposto ad un intervento chirurgico ad una gamba, asserisce che l’ultrà romanista è stato raggiunto da 4 coltellate all’addome, prima di sparare.
Coltellate che sul più che corpulento addome del De Santis non sono state rilevate dai medici dell’ospedale Gemelli di Roma, allorquando vi fu trasportato immediatamente dopo gli scontri.
Coltellate d’infami calunnie che ledono e feriscono “verità e giustizia” e con loro la memoria di un ragazzo che ha pagato con la vita la semplice e sincera voglia di assistere ad una partita della sua squadra del cuore.
I legali del De Santis stanno intelaiando la fine trama che induce i fatti a convergere verso la legittima difesa: il 48enne romanista, dopo aver aggredito un pullman di supporters azzurri, allorquando si è visto sopraffare da un gruppo di tifosi napoletani, sopraggiunti in soccorso di questi ultimi, tra cui Ciro Esposito, si è dato alla fuga per sottrarsi alla loro carica, ma, una volta raggiunto, pestato ed accoltellato, proprio non poteva fare altro che sparare a quei teppisti pur di salvarsi la vita.
Vergogna.
Questo dovrebbe urlare l’Italia intera.
Vergogna.
Dovrebbero esclamare a voce alta e sostenuta le cariche dello Stato e le eccelse ed illustri menti che figurano, di recente, nei rinomati salotti televisivi, urlando “verità e giustizia” a muso duro, contro la gente del Rione Traiano.
Vergogna.
È quello che trasuda dalle mani che hanno partorito quel mendace referto medico, perché, non prendiamoci e non prendeteci in giro, i segni di un accoltellamento feroce, come quello che avrebbe subito De Santis, non possono essere visibili “appena” quattro mesi dopo.
Vergogna.
È quello scritto tra le righe di una ricostruzione che sovverte “verità e giustizia”, perché si arroga il diritto di difendere un assassino che ha sparato a sangue freddo contro chi era disarmato ed incapace di difendersi: Ciro Esposito, Gennaro Fioretti, Alfonso Esposito e ha sparato ad altezza d’uomo, tant’è vero che i tre sono stati rispettivamente colpiti al torace, alla spalla e ad una mano.
Pertanto, difficilmente una perizia balistica supportata dalla logica potrà collimare con una simile versione dei fatti che imporrebbe che il De Santis, ferito e da terra, avrebbe necessariamente dovuto sparare dal basso verso l’alto. Ma una difesa capace di riesumare delle coltellate a quattro mesi di distanza dallo svolgimento dei fatti, può essere capace di tutto.
Vergogna.
È quello che deve essere scritto a carattere cubitali sulle tessere delle forze politiche alle quali il De Santis è assoggettato, alle quali è saldamente legato e che da decenni coprono le sue stesse “bravate”, ma che, stavolta, più che mai, hanno saputo e voluto spingersi troppo oltre, fino a toccare l’apoteosi del fecciume etico, morale, civile, sociale, emotivo, quello che di umano non ha nulla e che dimostra quanto tirannia e feroce sa divenire la “razza umana” al cospetto del livoroso richiamo del potere.
Vergogna.
È quanto deve rimanere indelebilmente tatuato nella coscienza di tutti coloro che concorrono ad accoltellare “verità e giustizia”.
Ora e sempre, Napoli deve far convergere la sua voce in un unico, accorato, vibrante e convinto urlo: “verità e giustizia per Ciro”.