Ci accingiamo a conquistare il nostro meritato limbo di relax lungo le coste accarezzate dal mare, riversandoci su quelle medesime spiagge che, per gli instancabili venditori ambulanti, diventano roventi lingue di fuoco da percorrere, incessantemente, alla ricerca di anime ben disposte a sganciare soldi alle quali sganciare il prodotto.
Abiti, costumi, collane, bracciali, cover per Iphone, gingilli, occhiali e mille altre diavolerie che macinano chilometri tra gli schiamazzi dei bagnanti e l’indifferenza del mondo.
Oggetti trainati da uomini, nei cui occhi sono racchiusi Paesi lontani, infinitamente suggestivi e tristemente poveri, dai quali è bene allontanarsi per assicurarsi un futuro meno precario e più dolce.
Questo è l’incipit sul quale si ancora la storia di ciascuno di loro, per poi evolvere in maniera varia e diversa, prima di convergere lungo le spiagge più affollate.
Storie condite di rinunce, fatica, privazioni, umiliazioni, sacrifici, sorrisi e lacrime amare che imprimono alla vita la cruda accezione di senso della sopravvivenza.
Sono le storie che costeggiano le nostre vacanze.
Eppur non ce ne rendiamo conto.
Nella maggior parte dei casi, fungono solo fastidiose ombre da schivare, perché ostruiscono la nostra tintarella.
Semplicemente, perché siamo in vacanza e ci imponiamo di spogliare gli abiti seri per vestirci di succinti costumi di effimera superficialità.
Non abbiamo tempo da dedicare ai nostri “soliti” problemi.
Non abbiamo attenzione da prestare ai “soliti” pensieri, quando, irrispettosamente, bussano alla porta.
Non abbiamo energie da riversare nelle “solite” questioni che depauperano la nostra quotidianità forgiandola a routine.
Figuriamoci se possiamo prestare tempo, attenzione ed energie ad un altro “dramma umano”.
Quindi: “No, grazie, non mi serve niente!”
Eppure, non è detto che vada così.
Non sempre va così.
Diversamente, quel moto perpetuo di faticosa disperazione, non avrebbe ragione d’esistere.