Nuovo episodio di tensione nella Città Santa. Centinaia di coloni israeliani hanno fatto irruzione nel complesso della moschea di Al-Aqsa, luogo sacro per l’Islam, scortati dalle forze di sicurezza israeliane. L’incursione, avvenuta nelle prime ore della mattina di martedì 4 novembre, ha provocato scontri e momenti di grande tensione tra i fedeli palestinesi presenti e i militari che presidiavano l’area.
Secondo quanto riportato dalle autorità locali, oltre un migliaio di coloni avrebbe attraversato i cortili del complesso, alcuni recitando preghiere ebraiche in violazione delle disposizioni che regolano l’accesso al sito. Il Waqf islamico, ente che gestisce il luogo sacro, ha denunciato un’ennesima violazione dello status quo che da decenni regola la delicata coesistenza religiosa nella Spianata delle Moschee.
Le autorità palestinesi hanno definito l’incursione una “provocazione deliberata” e hanno messo in guardia contro l’escalation di violenza che tali azioni possono innescare. Anche a Gerusalemme Est si sono registrate manifestazioni di protesta, rapidamente disperse dalle forze israeliane.
La situazione a Gaza: tra distruzione e disperazione
Mentre Gerusalemme vive ore di alta tensione, la Striscia di Gaza continua a essere teatro di una crisi umanitaria senza precedenti. Gli attacchi israeliani proseguono, con bombardamenti che colpiscono regolarmente zone residenziali e infrastrutture già devastate da mesi di guerra. Migliaia di persone vivono ammassate in rifugi di fortuna o in scuole trasformate in centri di accoglienza.
Secondo le organizzazioni umanitarie, oltre il 60% delle abitazioni risulta distrutto o gravemente danneggiato. Le famiglie sopravvivono con risorse minime, senza elettricità stabile né acqua potabile. Gli ospedali, privi di carburante e medicinali, faticano a curare i feriti e a gestire l’emergenza sanitaria.
La fame è ormai un’emergenza diffusa: interi quartieri soffrono una carestia di livello catastrofico, con bambini malnutriti e casi di mortalità in aumento. Le poche derrate alimentari che entrano nella Striscia sono insufficienti a coprire il fabbisogno di una popolazione stremata.
Sul piano psicologico, Gaza è una terra segnata dal trauma. Migliaia di persone, in particolare bambini, manifestano disturbi post-traumatici, ansia e depressione. Le strutture di sostegno sono poche e sovraccariche, e la speranza di una vita normale sembra sempre più lontana.
Un conflitto senza tregua
Gli ultimi sviluppi confermano come il conflitto israelo-palestinese rimanga intrappolato in un circolo vizioso di violenza e vendetta. Le incursioni al complesso di Al-Aqsa alimentano la rabbia popolare e rafforzano la percezione, nel mondo arabo e islamico, di una sistematica violazione dei diritti religiosi e civili dei palestinesi.
Nel frattempo, Gaza continua a sprofondare in una crisi umanitaria che, giorno dopo giorno, assume i contorni di una tragedia collettiva. Le famiglie lottano per sopravvivere, i bambini crescono sotto le bombe e la comunità internazionale, pur consapevole della gravità della situazione, appare incapace di imporre una soluzione duratura.
La regione vive sospesa tra dolore e instabilità, mentre il rischio di una nuova ondata di violenza resta altissimo. Gerusalemme e Gaza, ancora una volta, diventano il simbolo di un conflitto che sembra non conoscere fine.










