La Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, in collaborazione con la Polizia di Stato, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di sei persone gravemente indiziate di reati di associazione di tipo mafioso, detenzione e porto di arma da fuoco, nonché tentate estorsioni aggravate. Al centro dell’inchiesta figura il 61enne Francesco Rea, Ritenuto capo del gruppo criminale “Tammaro-Rea-Veneruso” con base a Casalnuovo di Napoli. Secondo gli investigatori, Rea avrebbe continuato a dirigere l’organizzazione dal carcere, grazie all’uso illecito di un cellulare.
Le indagini svolte dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Castello di Cisterna, coordinate dalla DDA, hanno messo in luce come il boss detenuto, pur ristretto in carcere, impartisse ordini e gestisse l’attività criminale mediante comunicazioni illecite. Al suo fianco, tra gli indagati: Armando Tammaro e lo zio Luigi Tammaro, figure al vertice dell’organizzazione; Ferdinando La Gatta, uomo di fiducia incaricato della logistica; Michele Benvenuto, responsabile della riscossione estorsiva e dell’esecuzione delle azioni violente; Gennaro D’Ambrosio, guardia del corpo e gestore operativo delle estorsioni.
Il sistema illecito avrebbe consentito al clan di imporre richieste estorsive nel territorio, controllare piazze di spaccio, esercitare la violenza come modalità di comando e mantenere un’organizzazione coerente nonostante l’incarcerazione del capo. L’uso del cellulare in carcere ha costituito un collegamento essenziale tra il boss detenuto e gli affiliati liberi, bypassando i canali ufficiali di comunicazione delle carceri.
Le accuse per le quali sono state adottate le misure cautelari riguardano: associazione di stampo mafioso, aggravata per il metodo organizzativo e intimidatorio; detenzione e porto di arma da fuoco; tentate estorsioni aggravate, commesse per favorire il sodalizio.
Secondo la DDA, la condotta del boss e dei suoi affiliati mostra la continuità del comando, la capacità di adattamento alle restrizioni carcerarie e l’uso della tecnologia per mantenere il controllo sul territorio.
L’operazione sottolinea una volta di più quanto sia forte il problema della gestione criminale dall’interno delle carceri, mediante l’uso illecito di telefoni cellulari o altri dispositivi. Il fatto che un detenuto possa governare un’organizzazione criminale già condannata o indiziata per mafia rappresenta una sfida significativa per le istituzioni penitenziarie, le forze dell’ordine e la magistratura.









