Il 27 ottobre 1978, a Rende, in provincia di Cosenza, Pasqualino Perri, un bambino di 12 anni, fu tragicamente ucciso in un agguato mafioso mirato al padre, Gildo Perri. L’episodio divenne uno dei simboli più dolorosi dell’innocenza sacrificata nella guerra tra cosche calabresi.
Gildo Perri, titolare di un cantiere per la lavorazione del pietrisco, era coinvolto in un conflitto tra fazioni mafiose locali. Quattro anni prima, aveva ucciso Giuseppe Polimena, accusato del furto di un apparecchio radio. Questo atto aveva innescato una serie di vendette e scontri tra clan.
La sera del 27 ottobre, padre e figlio si trovavano in un ristorante di Rende. Un commando armato, composto da Mario Pranno e Giancarlo Anselmo, appartenenti al clan Perna-Pranno, esplose numerosi colpi d’arma da fuoco contro la vetrata del locale. I proiettili, destinati al padre, colpirono fatalmente Pasqualino, che morì sul colpo. Il padre rimase illeso, ma segnato per sempre dal dolore e dal senso di colpa.
Pasqualino Perri divenne una delle vittime innocenti più emblematiche della ‘ndrangheta. La sua morte rappresenta il prezzo più alto pagato da un bambino per la guerra tra cosche. Il suo nome è stato inserito nell’elenco delle vittime innocenti delle mafie, mantenendo viva la memoria di chi ha perso la vita senza colpa.
L’omicidio di Pasqualino Perri è un monito contro la violenza mafiosa e l’indifferenza della società.
La sua storia è solo una delle tante che testimoniano come la criminalità organizzata non risparmi né bambini né donne.











