C’è una frase che riassume la mentalità di dominio con cui la camorra tenta ancora di piegare il tessuto economico di Napoli: “Il paese è nostro e il lavoro è nostro.”
Con queste parole Salvatore Abbate, 57 anni, noto come “Totore ’a cachera”, avrebbe intimidito Aniello Buonaiuto, amministratore della società Vera Ecologia Srl, imprenditore impegnato nei lavori di bonifica dell’ex raffineria Q8, la vasta area industriale di via Nuova delle Brecce, tra Ponticelli e Barra.
Ma questa volta qualcosa è cambiato: l’imprenditore non ha taciuto, non si è piegato. Ha denunciato.
E grazie al suo coraggio, la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli ha potuto emettere un decreto di fermo per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso nei confronti di Abbate, considerato contiguo al potente clan De Micco, storico sodalizio criminale della periferia orientale del capoluogo partenopeo.
Il gesto dell’imprenditore è tutt’altro che scontato. Denunciare un esponente della camorra in una zona come Ponticelli, dove il controllo del territorio è radicato da decenni e la paura è ancora una moneta corrente, significa esporsi, rischiare, rompere il muro dell’omertà.
Eppure Buonaiuto lo ha fatto. Quando Abbate ha iniziato a farsi avanti, pretendendo una “quota” sui lavori, imponendo il suo “permesso” per continuare la bonifica, la vittima ha trovato la forza di rivolgersi alle forze dell’ordine.
Un atto che, come ha sottolineato la DDA, rappresenta un esempio di resistenza civile e fiducia nelle istituzioni, capace di aprire uno spiraglio di speranza in una delle aree più difficili di Napoli.
L’ex raffineria Q8, oggi denominata “area Kuwait”, è uno dei progetti ambientali più imponenti del Sud Italia.
L’obiettivo è restituire alla città circa 120 ettari di terreno contaminato trasformandoli in uno spazio produttivo e sostenibile. Un investimento da oltre 150 milioni di euro, che inevitabilmente ha attirato l’interesse dei clan locali.
Secondo la ricostruzione della DDA, Totore ’a cachera avrebbe cercato di infiltrarsi nei subappalti e imporre la “tassa camorristica” alle imprese coinvolte.
Non solo minacce verbali, ma anche incontri diretti con imprenditori, durante i quali il 57enne avrebbe rivendicato il controllo sul territorio: “Qua comandiamo noi, chi lavora paga”.
Tutto ha inizio il 4 aprile 2024, quando l’allora direttore generale dell’Asl Napoli 1 Centro, Ciro Verdoliva, riceve una segnalazione su presunte irregolarità legate alla bonifica dell’ex raffineria Q8 di Ponticelli. A denunciare le criticità è Vincenzo Buonaiuto, titolare della ditta Vera Ecologia, incaricata – in subappalto – della delicata rimozione dell’amianto per conto della Greenthesis Spa.
Il progetto, però, si trasforma presto in un incubo: intimidazioni, pressioni e ostacoli burocratici iniziano a colpire l’imprenditore. Secondo la sua denuncia, presentata il 30 aprile 2025, tutto sarebbe cominciato nel marzo 2024, quando – dopo aver firmato un contratto per la gestione di 16mila tonnellate di materiale contenente amianto – i lavori vengono inspiegabilmente bloccati.
Nel frattempo, un’altra ditta riconducibile a Salvatore Abbate, detto Totore ’a cachera, ottiene rapidamente le autorizzazioni per operare sullo stesso sito. Il 28 marzo 2024, in un ufficio dell’Asl di Ponticelli, Buonaiuto viene convocato e si trova faccia a faccia proprio con Abbate, che lo minaccia apertamente:
“Tu non devi lavorare qui, vattene. Ho fatto dieci anni di carcere e non mi preoccupo di gente come te.”
L’ultimo episodio risale al 24 gennaio, quando Abbate lo contatta di nuovo via WhatsApp e lo incontra in un bar di via Vespucci, a Napoli. Un incontro dai toni apparentemente più pacati, ma con lo stesso messaggio di fondo: la camorra voleva il controllo dei lavori di bonifica.
La denuncia coraggiosa di Buonaiuto ha consentito alla DDA di Napoli di ricostruire la rete di interessi e di eseguire il fermo di Abbate, ritenuto vicino al clan De Micco e sospettato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Non è la prima volta che il nome di Salvatore Abbate finisce al centro di un’inchiesta giudiziaria.
Classe 1968, è ritenuto una figura di spicco della malavita locale, forte di un vincolo di parentela che lo lega al clan Sarno e, secondo quanto emerso dall’indagine recente, sarebbe poi finito in affari con il clan De Micco, l’organizzazione che attualmente detiene il controllo del territorio. Il suo soprannome, “’a cachera”, lo accompagna da anni, deriva dal suo atteggiamento spocchioso e dai modi di fare da sbruffone che sovente lo hanno portato ad ostentare le sue ricchezze, ma anche legami con figure di spicco della malavita locale, ma anche con esponenti delle forze dell’ordine. Non a caso, nel 2021, Abbate finì la contro della cosiddetta inchiesta sui fanghi con decine di arresti e il ritrovamento di ingenti somme di denaro in contanti nel corso della perquisizione presso la sua abitazione. Abbate veniva indicato come figura centrale nel presunto sistema corruttivo legato alla SMA Campania e allo smaltimento illecito di fanghi. In quell’ambito Abbate avrebbe collaborato con gli inquirenti e in seguito patteggiato una pena. Anche il sostituto commissario del commissariato di Polizia di Stato di Ponticelli, Vittorio Porcini, patteggiò una pena di un anno e dieci mesi, accusato di corruzione e favoreggiamento. Secondo quanto emerso dalle intercettazioni, Porcini avrebbe fornito informazioni riservate ad Abbate in cambio di vantaggi personali.
Tornato nel quartiere agli arresti domiciliari, negli ultimi anni era rimasto ai margini, ma il ritorno dei grandi appalti pubblici nella zona orientale di Napoli — come quello per la bonifica della Q8 — lo avrebbe riportato in azione, con l’obiettivo di ripristinare l’antico potere criminale.









