Salvatore Abbate, 57 anni, noto con il soprannome “Totore ‘a cachera”, è di nuovo al centro di un’inchiesta giudiziaria che ha come oggetto la bonifica dell’ex area “Kuwait” (ex raffineria Q8) di via Nuova delle Brecce, nel quartiere Ponticelli. Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Napoli, nei suoi confronti è stato emesso un decreto di fermo indiziato di delitto per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso legata a subappalti e pressioni sugli operatori che avrebbero dovuto eseguire i lavori di bonifica.
Gli investigatori sostengono che Abbate abbia avvicinato e minacciato imprenditori coinvolti nei lavori di bonifica per convincerli a rinunciare ai subappalti o a cedere commesse, esercitando pressioni con frasi intimidatorie come: «Il paese è nostro … noi siamo di Ponticelli … lascia tutto e vattene». L’episodio chiave, secondo la denuncia, sarebbe avvenuto durante un incontro in cui la vittima si sarebbe trovata in una stanza con Abbate che pronunciò frasi minacciose. Il fermo è stato eseguito prima che l’indagato potesse allontanarsi dall’Italia; il gip ha quindi convalidato il provvedimento in base agli elementi raccolti.
L’intervento di bonifica dell’area ex Q8 è uno dei più rilevanti dal punto di vista ambientale e urbanistico per la zona orientale di Napoli, con un investimento di svariati milioni di euro. Per questo motivo i cantieri e i subappalti collegati risultano particolarmente appetibili e sotto osservazione degli inquirenti quando emergono sospetti di infiltrazioni criminali. Le indagini odierne mirano a chiarire se e in che modo figure come Abbate, attraverso pressione su imprese locali, abbiano cercato di condizionare l’assegnazione di lavori o quote di essi.
Non si tratta del primo coinvolgimento di Abbate in vicende giudiziarie legate a rifiuti, appalti e ambienti della gestione pubblica dei servizi. Nel 2021 emerse la cosiddetta inchiesta sui fanghi — con decine di arresti e il ritrovamento di ingenti somme in contanti presso alcune abitazioni — in cui Abbate veniva indicato come figura centrale nel presunto sistema corruttivo legato alla SMA Campania e allo smaltimento illecito di fanghi. In quell’ambito Abbate avrebbe collaborato con gli inquirenti e in seguito patteggiato una pena (episodi e sviluppi documentati dalla stampa di allora). Vittorio Porcini, all’epoca sostituto commissario di Ponticelli, fu arrestato nell’ambito della medesima operazione. Accusato di corruzione e favoreggiamento, Porcini avrebbe fornito informazioni riservate ad Abbate in cambio di vantaggi personali. In seguito, ha patteggiato una pena di 1 anno e 10 mesi, pena sospesa, a due anni dalla pensione.
Nell’inchiesta più recente la DDA segnala presunti collegamenti o contiguità tra Abbate e ambienti della criminalità organizzata dell’est napoletano, in particolare il clan De Micco. Inoltre, Abbate è legato da vincoli di parentela alla famiglia Sarno, l’organizzazione camorristica che per oltre 30 anni ha detenuto il controllo degli affari illeciti ben oltre i confini di Ponticelli, e che di recente ha tentato di riorganizzarsi nelle località di residenza degli ex boss, poi diventati collaboratori di giustizia, manifestando la plateale volontà di ritornare a marcare anche la scena camorristica della periferia orientale di Napoli.
Gli investigatori stanno verificando la natura e la portata di questi rapporti per stabilire se le pressioni sui cantieri siano state esercitate in sinergia con soggetti riconducibili a gruppi camorristici.
La polizia ha eseguito sequestri di documentazione contabile e amministrativa sia presso l’abitazione dell’indagato sia presso società ritenute riconducibili a lui o a prestanomi. Le perquisizioni e il sequestro di atti rientrano nella ricostruzione delle dinamiche economiche e delle relazioni contrattuali che gli inquirenti ritengono necessarie per provare la tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso.
La denuncia che ha portato al fermo è stata presentata da un imprenditore che ha rifiutato di cedere i lavori; la sua testimonianza ha innescato gli approfondimenti della DDA. Al momento le indagini sono ancora in corso: l’autorità giudiziaria valuterà se trasformare il fermo in misura cautelare più duratura o procedere con altre misure, e saranno determinanti i riscontri documentali e le testimonianze raccolte dagli inquirenti.
Il caso unisce diversi aspetti sensibili: la gestione di grandi interventi di bonifica ambientale (con risorse pubbliche e imprese coinvolte), il rischio di infiltrazioni criminali nei cantieri, e la persistente vicinanza tra imprenditoria locale e clan camorristici. Se confermate, le accuse metterebbero in luce come progettualità ambientali e riqualificazioni urbane possano diventare terreno di scontro e di ingerenza per interessi illeciti.









