Era il 21 luglio 1979 quando Giorgio Boris Giuliano, capo della Squadra Mobile di Palermo, veniva assassinato a sangue freddo in un bar di via Francesco Paolo Di Blasi. La Sicilia e l’Italia intera ricordano non solo un uomo delle istituzioni, ma una figura chiave nella lotta alla mafia, che pagò con la vita il suo impegno per la giustizia.
Nato a Piazza Armerina nel 1930, Giuliano era un investigatore colto, acuto, profondamente umano. Dopo un’esperienza formativa con l’FBI negli Stati Uniti, fu tra i primi in Italia a introdurre tecniche investigative moderne e basate sull’analisi dei flussi finanziari. Fu anche uno dei primi a intuire le ramificazioni internazionali del traffico di eroina che legava la mafia siciliana a quella italo-americana nella cosiddetta “Pizza Connection”.
Nominato nel 1977 capo della Squadra Mobile, Giuliano non si lasciò mai intimorire. Camminava da solo, senza scorta, e instaurava un rapporto diretto con i suoi uomini, ma anche con i cittadini. Era un poliziotto che credeva fermamente nel valore delle istituzioni e nel dovere civile.
Il 21 luglio 1979, Boris Giuliano venne raggiunto da sette colpi di pistola sparati alle spalle da Leoluca Bagarella, killer dei Corleonesi, mentre prendeva un caffè al bar “Lux”. A decretarne la morte fu la Cupola mafiosa, preoccupata per le sue indagini troppo scomode e troppo vicine alla verità.
La sua morte rappresentò l’inizio di un periodo oscuro per la Sicilia: la seconda guerra di mafia, la lunga scia di sangue che avrebbe portato all’eliminazione di tanti uomini dello Stato, tra cui i giudici Falcone e Borsellino.
Nel giorno dell’anniversario, Palermo e la Sicilia intera rendono omaggio a Giuliano. Cerimonie, conferenze, momenti di raccoglimento si svolgono in tutta l’Isola, dalla sua città natale Piazza Armerina all’Università di Messina. A Palermo, via Di Blasi è stata interdetta al traffico per consentire la commemorazione ufficiale nel luogo dell’agguato.
Selima Giuliano, sua figlia, ha pubblicato un messaggio toccante sui social, ricordando il padre con parole cariche di nostalgia e speranza: “Siamo noi, con il vuoto, ma anche con la speranza e la fede nello Stato”.
Numerose scuole, caserme e vie portano oggi il nome di Boris Giuliano. Ma più della toponomastica, a sopravvivere è il suo esempio. La Polizia di Stato continua a trasmettere il suo metodo ai giovani agenti, fondato sull’intelligenza investigativa, l’etica del servizio e il contatto umano.
La sua figura è stata raccontata anche in TV nella miniserie “Boris Giuliano – Un poliziotto a Palermo” (Rai Fiction, 2016), interpretata da Adriano Giannini, che ha restituito al grande pubblico il ritratto di un uomo semplice, allegro, eppure determinato a sfidare l’orrore mafioso.
Ricordare Boris Giuliano non è un esercizio retorico. È un dovere civile. La sua vita e il suo sacrificio ci insegnano che lo Stato può essere umano e giusto, e che la lotta alla criminalità organizzata si vince con l’intelligenza, il coraggio e la coerenza.
In un tempo in cui la fiducia nelle istituzioni sembra vacillare, il suo esempio torna più che mai attuale. Boris Giuliano resta un simbolo di legalità, e un invito a non dimenticare mai che ogni conquista di giustizia ha il volto, il nome e la voce di chi ha creduto nella verità, fino all’ultimo respiro.