Lo sgombero e sequestro di un’intera palazzina popolare avvenuto il 25 giugno in via Panagulis, nel cuore di Ponticelli, non è solo un’operazione delle forze dell’ordine: è l’immagine concreta del tramonto del clan De Martino, per anni uno dei gruppi criminali più radicati e temuti della zona orientale di Napoli.
Il decreto di sequestro preventivo, eseguito dai Carabinieri del Comando Provinciale e dagli agenti della Polizia Locale su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, ha riguardato un edificio di tre piani composto da sedici unità immobiliari di proprietà del Comune di Napoli. Destinati ad attività commerciali, quei locali erano stati occupati abusivamente e trasformati in abitazioni. Ma non da chiunque: solo chi pagava il clan otteneva l’accesso. Un sistema che non lasciava spazio al caso, e che confermava il controllo capillare esercitato dal gruppo criminale sul territorio.
Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, corroborate dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, l’edificio era divenuto nel tempo una vera e propria roccaforte logistica del clan “De Martino XX”, utilizzato anche per custodire armi, svolgere riunioni e garantire una sorta di “residenza protetta” agli affiliati. La sua perdita, oltre che simbolica, rappresenta un duro colpo alla rete di potere del clan.
Negli anni Duemila, i De Martino hanno rappresentato una delle organizzazioni più attive nella zona est di Napoli, prima in rotta di collisione, poi alleati dei De Micco e coinvolti in estorsioni, traffico di droga e gestione del territorio. E soprattutto omicidi: proprio quelli eseguiti da Antonio De Martino detto “XX” – primogenito del capoclan Francesco e Carmela Ricci alias “donna Lina” – il clan è riuscito a conquistare la supremazia. Tutti i membri della famiglia De Martino sono attualmente detenuti: oltre ai coniugi Francesco De Martino detto “Ciccio ‘o pazzo” e Carmela Ricci, arrestati a luglio del 2024, il primogenito Antonio è stato condannato all’ergastolo, mentre anche gli altri due figli, Giuseppe e Salvatore, si trovano in carcere. Ma questo non è l’unico elemento che ha contribuito a rimaneggiare il clan. Noti per la loro capacità di infiltrarsi nel tessuto urbano e di costruire consenso anche attraverso la gestione “parallela” di case, aiuti e protezione, avevano trasformato il bisogno e il disagio in strumenti di controllo sociale.
Il declino è iniziato con i primi arresti eccellenti e con una progressiva frammentazione del comando. Le inchieste della DDA hanno disarticolato le filiere operative del clan, colpendo duramente la struttura economica che lo sosteneva. A fiaccarne ulteriormente la forza, la collaborazione di diversi ex affiliati, che hanno iniziato a raccontare i meccanismi interni dell’organizzazione, le modalità di occupazione abusiva degli immobili, i rapporti di forza con altri clan e la rete di complicità sul territorio.
Lo sgombero di via Panagulis, oggi, rappresenta il culmine di questo processo. Per la prima volta, un intero stabile considerato “intoccabile” viene svuotato, reso inagibile e riconsegnato alla legalità. A differenza del passato, nessuna reazione violenta, nessun tentativo di ostacolare le forze dell’ordine. Solo il silenzio di un potere che non riesce più a imporsi.
L’intervento, che ha coinvolto oltre 200 operatori delle forze dell’ordine, è stato accompagnato anche da una forte componente sociale. Le famiglie presenti nello stabile sono state assistite dai servizi sociali del Comune, a dimostrazione che il ripristino della legalità non si traduce in abbandono, ma in un nuovo inizio.
Il segnale è forte: Ponticelli non è più terreno esclusivo della camorra. Lo Stato c’è, entra nei luoghi simbolo del potere criminale, li sottrae all’illegalità e li restituisce ai cittadini. Ma il lavoro è ancora lungo: altre palazzine, altri locali pubblici e privati restano da liberare. Tuttavia, l’operazione di via Panagulis può essere considerata l’inizio della fine di un dominio che per anni ha soffocato la dignità di un quartiere intero.
Lo sgombero è un atto concreto, ma anche un messaggio: la stagione dell’impunità è finita. Il clan De Martino, un tempo onnipresente, oggi perde pezzi, visibilità, potere. E nei vuoti che lascia si apre lo spazio per una legalità nuova, da costruire con fermezza, continuità e responsabilità istituzionale.
Il declino di un clan non è mai solo un fatto criminale. È una possibilità per ricominciare.
E Ponticelli, oggi, ha l’occasione storica di riprendersi il futuro.