Il 17 giugno 1983 è una data impressa nella memoria collettiva italiana come uno dei momenti più oscuri della giustizia nel nostro Paese. In quel giorno, all’alba, Enzo Tortora, noto giornalista e presentatore televisivo, fu arrestato con accuse gravissime: associazione camorristica e traffico di stupefacenti.
Il suo nome finì nel mezzo di un’inchiesta sulla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, basata esclusivamente sulle dichiarazioni di pentiti, rivelatesi poi false e infondate.L’arresto in diretta mediaticaEnzo Tortora fu prelevato dalla polizia nell’hotel dove alloggiava a Roma.
Giornalisti e fotografi furono preallertati, e le immagini del presentatore in manette fecero il giro del Paese. L’Italia intera vide uno dei volti più noti e amati della televisione, l’uomo che aveva rilanciato la trasmissione Portobello, trascinato via come un pericoloso criminale. L’opinione pubblica si spaccò: molti credettero ciecamente nella sua colpevolezza, altri, pochi all’inizio, cominciarono a parlare di errore giudiziario.
Tortora si dichiarò innocente sin dal primo momento e denunciò con forza l’iniquità di un sistema che si basava solo su accuse non supportate da prove. Fu comunque condannato in primo grado nel 1985 a dieci anni di reclusione. La sua figura diventò presto il simbolo della malagiustizia e della debolezza dello Stato di diritto quando la giustizia si affida ciecamente a testimoni non credibili.
Solo il 15 settembre 1986, la Corte d’Appello di Napoli lo assolse con formula piena, e l’assoluzione fu confermata in via definitiva nel giugno 1987. Ma il peso della gogna mediatica, la sofferenza e la delusione segnarono profondamente la sua salute. Tortora morì l’anno dopo, nel 1988, senza mai essersi davvero ripreso.Un simbolo contro gli abusiIl caso Tortora è divenuto negli anni simbolo delle vittime di errori giudiziari.
Il 17 giugno, giorno del suo arresto, è stato proposto come Giornata nazionale in memoria di Enzo Tortora e di tutte le persone ingiustamente accusate, per ricordare che nessuno è immune dagli errori dello Stato e che ogni diritto – primo tra tutti la presunzione d’innocenza – va tutelato con rigore.
«Io sono innocente. Lo grido con tutta la mia forza, con tutta la mia voce. Lo urlo da uomo ferito, ma ancora in piedi», dichiarò Tortora durante il processo.
Quella voce, allora isolata, oggi è diventata un monito contro l’abuso della carcerazione preventiva, l’uso indiscriminato delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, e i processi mediatici che troppo spesso condannano prima dei tribunali.
Il 17 giugno non è solo il giorno di un arresto sbagliato: è il giorno in cui l’Italia si specchiò nel suo sistema giudiziario e ne vide, con dolore, tutte le crepe.