Il caso di Andrea Prospero, il giovane studente universitario trovato morto a Perugia lo scorso gennaio, ha recentemente subito una svolta significativa. Le autorità hanno arrestato un 18enne con l’accusa di istigazione al suicidio, mentre un’altra persona è attualmente indagata per cessione di oppiacei.
Andrea Prospero, originario di Lanciano (Chieti), era iscritto al corso di Informatica dell’Università degli Studi di Perugia. La sua scomparsa era stata denunciata il 24 gennaio scorso dalla sorella gemella, Anna, preoccupata per la mancanza di risposte alle sue chiamate. Dopo cinque giorni di ricerche, il corpo senza vita di Andrea è stato rinvenuto il 29 gennaio in un appartamento nel centro storico di Perugia, non lontano dal luogo della sua scomparsa.
Durante le indagini, le autorità hanno scoperto nell’abitazione di uno degli indagati materiale sospetto, tra cui cinque telefoni cellulari, sessanta schede SIM e tre carte di credito intestate a terzi. Questo ritrovamento ha sollevato ulteriori interrogativi sul coinvolgimento degli indagati e sulle circostanze che hanno portato alla morte di Andrea. La stanza si presentava in ordine e sul corpo del ragazzo non vi erano segni di ferite, circostanze che, già dal primo esame compiuto dal medico legale, portavano a far presumere che la morte potesse essere ascrivibile ad un gesto volontario. L’essere, però, sconosciuto alla sorella e ai familiari l’affitto del monolocale ed inspiegabili la presenza di più cellulari e schede telefoniche erano fatti che rendevano necessario l’avvio di un’indagine per avere riscontro non solo sulle cause della morte ma sul contesto in cui l’evento si era verificato. Le dichiarazioni testimoniali assunte da familiari e conoscenti, infatti, non permettevano di trovare una plausibile spiegazione sul perché un giovane apparentemente tranquillo e senza particolari problemi potesse aver celato tali circostanze riguardanti la sua vita privata.
“Più che istigato, il giovane ai domiciliari, avrebbe aiutato il povero Prospero al suicidio”, ha spiegato il Procuratore capo di Perugia, Raffaele Cantone, nel corso della conferenza stampa che si è svolta oggi, lunedì 17 marzo. Un’istigazione virtuale quindi, considerando che i due non si sarebbero mai incontrati personalmente.
“Questa storia è l’esempio di come si possa incorrere nella trappola virtuale”, racconta la Polizia Postale. Il dottor Petrazzini che ha effettuato le indagini. “Senza il reperimento degli apparati tecnologici di Prospero non sarebbe stato possibile risalire ai fatti. Ci troviamo di fronte a una vicenda che si muove nella realtà virtuale che purtroppo ha portato i suoi effetti nella realtà”. Ha aggiunto il procuratore aggiunto di Perugia, Giuseppe Petrazzini. “La realtà virtuale coinvolge le persone anche senza che queste si siano mai incontrate, con un pericolo per la sicurezza pubblica e per sicurezza personale. Devo fare un plauso alla polizia Postale che dall’analisi degli apparati informatici, ha permesso l’arrivo ai risultati di oggi”.
“In due mesi e quindi in tempi abbastanza brevi riteniamo di avere individuato il possibile autore dell’aiuto al suicidio. Anche se ovviamente vale la presunzione di innocenza”: lo ha detto il procuratore di Perugia Raffaele Cantone a margine della conferenza stampa in questura nella quale è stato fatto il punto sulle indagini relative alla morte dello studente universitario Andrea Prospero.
“Un’indagine complicata – ha spiegato Cantone – tutta fatta utilizzando i dati presenti sui cellulari e gli apparati informatici. Solo il primo tassello. L’indagine deve infatti continuare per comprendere poi tutta una serie di questioni che riguardano la presenza delle sim e di più cellulari. E soprattutto perché c’era l’utilizzo di questo appartamento da parte di un ragazzo che non sembrava non averne ragioni”.
C’è un altro indagato, per cessione di un medicinale di tipo oppiaceo. Ha specificato il procuratore Cantone. “Stamani è stata eseguita una perquisizione in Campania – ha spiegato il magistrato – nei confronti di un giovane che riteniamo essere colui che ha venduto il medicinale. Non risponde dello stesso reato (istigazione o aiuto al suicidio -ndr) perché lui non era in grado ovviamente di conoscere la ragione per la quale Prospero lo ha utilizzato”.
È emerso che la vittima, molto attenta alla propria privacy, sia nella vita reale che in rete, aveva rapporti con vari interlocutori in rete e soprattutto ne avevo stretto uno maggiormente confidenziale con un interlocutore al quale aveva confidato i suoi problemi, le sue ansie ed insofferenze rispetto alla vita universitaria e il pensiero di togliersi la vita.
L’esame particolarmente approfondito dei contatti con questo soggetto, che utilizza più di un nick name, ha consentito di accertare che il 19enne aveva chiesto al suo amico virtuale consigli in merito alla scelta del mezzo più idoneo, più indolore per compiere quel gesto estremo, venendo più volte incitato e incoraggiato dall’indagato a farlo.
Le chat estrapolate dal lavoro certosino della polizia, particolarmente esplicite nella loro drammaticità, hanno fornito elementi gravemente indiziari sul fatto che possa essere stato proprio il suo interlocutore virtuale a confortare la scelta del 19enne di compiere il gesto mediante l’ingestione di farmaci, incoraggiandolo e rassicurandolo anche sul fatto che utilizzando gli oppiacei non avrebbe sentito nessun dolore ma piacere. A quel punto, la vittima, dopo essersi informata con alcuni contatti “Telegram” sulle modalità di acquisto e spedizione, era riuscita ad acquistare il farmaco da un altro utente della chat, facendosi spedire il tutto in un locker inpost (punto di ritiro e giacenza pacchi).
Il 19enne il giorno 24 gennaio si era quindi recato presso l’appartamento da lui preso in affitto, in via del Prospetto, dove, nella stanza virtuale e attraverso un colloquio intercorso su una piattaforma informatica proprio nella fase immediatamente precedente l’ingestione dei farmaci, aveva manifestato all’amico di non aver il coraggio di compiere il gesto, chiedendogli quindi un ulteriore incoraggiamento, ricevuto dall’indagato, che gli aveva fatto superare la paura inducendolo a ingerire i farmaci e a togliersi la vita.
Michele Prospero, padre di Andrea, ha espresso la sua convinzione che il figlio non si sia tolto la vita autonomamente, dichiarando: «Ero certo dell’omicidio». La famiglia attende ora che le indagini facciano piena luce sulla vicenda e che venga resa giustizia ad Andrea.