Luigi Amitrano ed Enrico Capozzi: due nomi ai quali sono associate altrettante storie che si sono sviluppate in momenti diversi, ma che messe confronto, contribuiscono a fornire l’identikit più veritiero e attendibile dell’ex boss ed ex collaboratore di giustizia Vincenzo Sarno e dell’ideologia criminale che non ha mai smesso di ispirare le sue gesta.
Probabilmente, non è un caso se la fase di declino del clan che per decenni ha dominato la scena camorristica napoletana ha avuto inizio quando le redini della cosca erano nelle sue mani, mentre gli altri fratelli erano tutti detenuti. Vincenzo Sarno approfittò di quella circostanza per stravolgere la politica improntata da Ciro ‘o sindaco ed ereditata dai suoi fratelli che, tra le tante cose, vietava di praticare estorsioni ai commercianti del quartiere, al fine di privilegiare una strategia finalizzata a beneficiare di consensi e benevolenza anche da parte della gente comune, in modo da garantire maggiore longevità al clan, auspicando nell’omertà e nella connivenza dei cittadini. Vincenzo Sarno, di contro, iniziò a praticare una serie di estorsioni a tappeto, rivolte ai commercianti storici del quartiere e non solo. Non intendeva fare sconti a nessuno, neanche agli alleati più fedeli e fidati, come i De Luca Bossa.
Proprio dalla richiesta estorsiva indirizzata da Vincenzo Sarno a “donna Teresa”, alias Teresa De Luca Bossa, madre di Tonino ‘o sicco ha preso il via il vortice di eventi che ha determinato la dissoluzione del clan Sarno.
Vincenzo Sarno aveva preteso che la donna versasse nelle casse del clan Sarno una tangente di trecento milioni: secondo il boss era la percentuale che era tenuta a corrispondere sui proventi delle piazze di droga che, fino a quel momento, aveva gestito in totale autonomia per espresso volere degli altri fratelli Sarno. Un’estorsione che indispettì la lady camorra e ancora di più suo figlio, lo spietato e sanguinario Antonio De Luca Bossa. Un episodio che maturò in un momento storico delicato, i rapporti tra le parti erano già stati compromessi da alcuni dissidi e numerosi erano gli strascichi che rischiavano di portare alla rottura che sopraggiunse proprio in seguito a quella clamorosa e inaspettata richiesta estorsiva.
In questo frangente matura la scissione dai Sarno di Antonio De Luca Bossa e la nascita dell’omonimo clan, un sodalizio autonomo che oltre al supporto degli affiliati che avevano seguito ‘o sicco nella sua decisione di voltare le spalle agli ex alleati, ha potuto beneficiare del prezioso appoggio dell’Alleanza di Secondigliano.
Antonio De Luca Bossa mirava ad annunciare la nascita del suo clan compiendo un agguato eclatante: il primo attentato stragista con autobomba in Campania, finalizzato ad uccidere il suo rivale, il boss Vincenzo Sarno, nonché autore del clamoroso affronto indirizzato a sua madre, rivolgendole quella richiesta estorsiva.
Ad avere la peggio, però fu Luigi Amitrano il giovane nipote e autista del boss Vincenzo Sarno. Gli uomini di ‘o sicco piazzarono l’ordigno nel ruotino di scorta dell’auto blindata guidata da Amitrano, mentre era in sosta nel parcheggio dell’ospedale Santobono di Napoli, dove era ricoverata la sua bambina. Amitrano trascorse l’intera giornata al capezzale della figlia e rincasò in serata. Complice il dissesto del manto stradale, l’ordigno si innescò anzitempo, provocando la morte del giovane nipote dei Sarno. Invece, secondo il piano ordito da ‘o sicco, il telecomando lo avrebbe innescato il giorno seguente quando, come ogni domenica, si sarebbe recato in commissariato per adempiere all’obbligo di firma.
Era il 25 aprile del 1988 e da quell’evento clamoroso scaturì una faida di camorra, ma anche una serie di arresti che decretarono l’inizio della fine dei Sarno.
Vincenzo Sarno aveva 38 anni quando nel 2009 decise di rinnegare la camorra per passare dalla parte dello Stato, un pentimento clamoroso, al pari di quello degli altri fratelli Sarno e delle altre figure apicali della cosca che per circa 30 anni ha troneggiato su Napoli e provincia.
Il percorso di collaborazione di Vincenzo Sarno partì con questa premessa: «Ho compiuto almeno 50 omicidi, non ricordo precisamente neanche il numero, non ricordo i nomi di tutti». Probabilmente, non ha mai veramente detto addio alle ambizioni da boss di camorra.
Un fatto che trova piena conferma nella condotta esibita, fin da subito, mentre era detenuto nel carcere di Vicenza, in veste di collaboratore di giustizia. Vincenzo Sarno, in quel frangente, malgrado avesse già ufficialmente rinnegato la camorra, aveva redatto un elenco delle persone da uccidere. Affiliati al clan Sarno con i quali aveva conti in sospeso e dei quali non aveva gradito le dichiarazioni rese alla magistratura, persone che gli avevano rivolto affronti o mancanze di rispetto, ma anche rivali con i quali regolare con in sospeso. Allo stesso modo pretendeva di controllare gli ex affiliati al clan Sarno, reclusi nello stesso istituto penitenziario, perchè a loro volta avevano optato per la collaborazione con la giustizia, manifestando la volontà di impartirgli ordini, pretendendo di imporre azioni e comportamenti da adottare, proprio come faceva quando ricopriva il ruolo di reggente di quel clan che in quel momento storico si dichiarava pronto a distruggere.
Non ha mai smesso di pensare da boss, di covare piani e ambizioni da boss, Vincenzo Sarno. Lo ha dimostrato di recente, determinando con le sue azioni le circostanze in cui è maturato l’agguato in cui ha perso la vita Enrico Capozzi, il 36enne figlio di una cugina dei Sarno.
Poco prima di capodanno, Vincenzo Sarno, accompagnato da altri due parenti, ha fatto ritorno a Ponticelli per indirizzare delle richieste estorsive ad alcuni commercianti del quartiere. Un gesto che nel gergo camorristico viene utilizzato per annunciare l’irruzione di un clan disposto a contestare la supremazia dell’organizzazione che detiene il controllo del territorio e pertanto, anche degli affari illeciti. Estorsioni comprese.
Consapevole del pericolo al quale si era esposto lanciando un guanto di sfida così plateale ai De Micco, organizzazione attualmente egemone a Ponticelli, Vincenzo Sarno si è immediatamente dileguato, ritornando nella località dove tuttora vive sotto protezione e che dista centinaia di chilometri dal quartiere della periferia orientale di Napoli che l’ex boss mira a riconquistare.
Non si è fatta attendere la replica dei De Micco che nel giro di pochi giorni hanno scelto la vittima da colpire per compiere una vendetta trasversale finalizzata a stroncare i piani di Vincenzo Sarno: Enrico Capozzi, padre di tre figli – che quattro anni fa avevano già perso la madre – nonché l’imprenditore che con la sua denuncia ha fatto scattare le manette per una figura apicale del clan De Micco che gli aveva rivolto una richiesta estorsiva di trentamila euro. La sola denuncia non avrebbe determinato la morte violenta di Capozzi, ma all’indomani dell’incursione di Sarno a Ponticelli è diventata la motivazione che ha inciso sulle scelte del clan che così ha lanciato un duplice messaggio: all’ex boss di Ponticelli, ma anche a tutti coloro che intendono contestare l’egemonia dei De Micco, anche perseguendo le vie legali.
L’ossessione manifestata da Vincenzo Sarno verso i soldi e il potere, ha deliberato la morte di due giovani che hanno pagato con la vita quelle sue scelte e quei gesti scellerati.