All’indomani dell’agguato costato la vita al 36enne Enrico Capozzi, Ponticelli ripiomba nell’incubo senza fine che tante, troppe volte ha trasformato le strade del quartiere in un campo di guerra.
Un agguato che ha destato scalpore e che ha colpito profondamente gli abitanti del quartiere, quello costato la vita al 36enne che nell’estate del 2021 era rimasto vedovo, in seguito alla morte prematura della moglie, colpita da aneurisma cerebrale mentre era in spiaggia con i suoi tre figli. Tre ragazzi, che a distanza di meno di quattro anni dalla morte della madre sono costretti a piangere anche la perdita del padre, assassinato in un agguato di matrice camorristica.
Un dettaglio che ha concorso ad intristire la vicenda, unitamente al carattere cordiale e giocherellone di Enrico, conosciutissimo nel quartiere. Tantissimi ponticellesi stanno facendo pervenire alla redazione del nostro giornale pensieri, messaggi, ricordi dai quali trapela tutto il dolore e lo sconcerto che l’agguato in cui ha perso la vita Capozzi sta seminando nel quartiere. Una morte che ha suscitato dolore, ma anche profonda rabbia e rammaricazione per le circostanze in cui è maturata. Nel 2023, Capozzi aveva denunciato il giovane ras dei De Micco Antonio Nocerino, facendolo arrestare per estorsione. Una vicenda concitata che vide il giovane legato ai “bodo” avanzare una richiesta estorsiva di trentamila euro a Capozzi. Il pedaggio da pagare per consentire alla sua attività, un distributore di benzina, di proseguire indisturbata. Un diniego che pagò a caro prezzo: la sua attività fu prima danneggiata e poi si vide costretto a chiuderla, ma non ha mai indietreggiato.
Proprio ieri, poche ore prima di andare incontro a quel feroce destino, aveva incontrato per strada la direttrice di Napolitan.it, la giornalista Luciana Esposito che aveva conosciuto e supportato nella battaglia per la riqualifica del parco Merola – il rione in cui Capozzi viveva e dove è stato assassinato – affinché venisse realizzato un campo di calcio dal Comune di Napoli, contestualmente alle opere di street art destinate ad abbellire le facciate di uno dei tanti rioni grigi e degradati della periferia. Un sogno terminato nel peggiore dei modi, quando la giornalista fu aggredita da una famiglia residente proprio nel Parco Merola. Ciononostante, Capozzi non aveva mai smesso di manifestare il suo affetto alla giornalista, tutte le volte che la incontrava, come è accaduto anche poche ore prima dell’agguato. “Porto avanti il mio percorso, anche se la paura c’è”, ha confessato alla direttrice di Napolitan, poche ore prima di essere assassinato. Malgrado la paura, Capozzi non intendeva tornare sui suoi passi. Si era fidato della legge ed affidato alla legge e auspicava nella giustizia, ma il tribunale della camorra ha sentenziato il suo feroce verdetto anzitempo.
La denuncia dalla quale è scaturito l’arresto di “brodino” ha sicuramente inciso sulla decisione di uccidere Capozzi, ma la motivazione determinante va ricercata nel recente ritorno a Ponticelli del boss Vincenzo Sarno. L’ex boss di Ponticelli, dopo gli ultimi 15 anni trascorsi sotto la tutela dello Stato in veste di collaboratore di giustizia, poco prima di capodanno è tornato nel quartiere per indirizzare delle richieste estorsive ai commercianti suscitando la prevedibile reazione dei De Micco.
Capozzi è infatti il figlio di una cugina dei Sarno. Un dettaglio che unitamente al processo in corso e che vede sul banco degli imputati il ras dei De Micco, messo all’angolo dalle accuse che proprio i l36enne gli ha mosso, ha delineato le circostanze che hanno portato alla sua morte violenta.
Una morte accompagnata da tanti “se” che si susseguono nelle tante frasi scandite dalle frasi rotte dal pianto pronunciate dai ponticellesi, stanchi di dover convivere con la paura che la camorra si diverte a seminare tra le strade del quartiere.
Tantissimi cittadini, gente comune, compagni di scuola di Capozzi, gli abitanti del Parco Merola e molte altre persone che ancora faticano a credere che realmente sia stato assassinato, chiedono a gran voce di non negargli i funerali in chiesa. Seppure Capozzi sia stato ucciso in un agguato di matrice camorristica, malgrado i vincoli di parentela con alcuni esponenti della criminalità locale, non è mai stato direttamente inserito nelle dinamiche malavitose e negargli i funerali in chiesa significherebbe infliggere l’ennesima pugnalata a quei figli, rimasti orfani, ma anche darla vinta ai suoi assassini che potrebbero esultare anche per l’ennesima umiliazione arrecata alla vittima.
Dopo la fake news del raid compiuto dai parenti all’ospedale del Mare, poi smentita dal direttore generale dell’Asl Napoli 1, alla quale hanno fatto seguito tutte le altre notizie non veritiere che i parenti sono stati costretti a smentire per cercare di fermare la macchina del fango che impietosamente continua ad infierire sulla vittima, negare al feretro la possibilità di entrare in chiesa vorrebbe dire infliggere un’altra stangata immeritata e immotivata a una famiglia distrutta dal dolore. Una mortificazione che Enrico Capozzi non merita, soprattutto per l’atto di coraggio manifestato consegnando il suo estorsore alla giustizia.