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Agguato a Ponticelli: chi era Massimo Lucca e perché è stato ucciso

Luciana Esposito di Luciana Esposito
21 Ottobre, 2024
in Cronaca, In evidenza
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Agguato a Ponticelli: chi era Massimo Lucca e perché è stato ucciso
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I video e i tributi post mortem che impazzano sui social, ben raccontano l’entità del colpo incassato dai D’Amico del rione Conocal di Ponticelli. Quello di Massimo Lucca, 43enne con piccoli precedenti, fedelissimo dei “fraulella” è l’ennesimo nome che concorre ad allungare la scia di morti scaturite nell’ambito dell’eterna faida di Ponticelli.

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I D’Amico su un fronte, i De Micco sull’altro. Una guerra alacre che si combatte ormai da decenni e senza esclusioni di colpi tra le strade del quartiere. Agguati e azioni efferate si sono avvicendati su entrambi i versanti, ma fin qui, sono senza dubbio i D’Amico ad aver avuto la peggio. Tuttavia, i “fraulella” continuano a manifestare la ferma volontà di seguitare ad alimentare le logiche di quella faida che ormai è infervorata da dinamiche e motivazioni che si spingono ben oltre il controllo degli affari illeciti. Troppi i morti da vendicare e i conti da pareggiare.

Inequivocabile il contenuto pubblicato su TikTok dalla primogenita del boss Antonio D’Amico: un frame nel quale si vede Lucca ballare insieme a Vincenzo Costanzo, 26enne nipote di “Tonino fraulella”, anche lui ucciso in un agguato di camorra sul quale non è affatto escluso che ci sia la firma dei De Micco. “Ora vi immagino così”, “bastardi pagherete”: le frasi che accompagnano il video e dalle quali trapela tutto l’odioso rancore che intercorre tra i membri delle due famiglie camorristiche entrate in contrasto.

Anche all’indomani dell’omicidio dello zio dell’attuale reggente del clan e marito di una delle figlie del boss Antonio D’Amico, i reduci del clan sbandierano sui social l’agognata vendetta lanciando messaggi espliciti ai De Micco che hanno consegnato ai rivali l’ennesimo morto da piangere.

Lucca non ricopriva un ruolo di spessore all’interno del clan e non era di certo “il bersaglio eccellente” da colpire per depauperare il clan di forza e motivazione. Motivo per il suo omicidio sembra ricoprire un valore puramente dimostrativo, finalizzato a danneggiare e destabilizzare i rivali, sottolineando al contempo la supremazia dei “bodo” che ancora una volta hanno espugnato il fortino dei “fraulella”, facendo irruzione nell’arsenale dei rivali per compiere l’ennesimo agguato. Proprio come accadde il 10 ottobre del 2015, quando ad avere la peggio fu Annunziata D’Amico, sorella dei boss fondatori dell’omonimo clan, uccisa quando ricopriva il ruolo di reggente del clan di famiglia. Un omicidio clamoroso, soprattutto perché alla boss fu riservato lo stesso trattamento di un uomo, mostrando il volto più feroce della camorra, incapace di fare sconti perfino a una donna, nonché madre di sei figli.

L’omicidio di Annunziata D’Amico ha segnato la fine di un’era camorristica all’ombra del Vesuvio, decretando il punto di non ritorno che impone ai due clan perennemente in guerra di seguitare a combattere, fino a quando la partita resterà aperta.

Nel momento meno atteso, i De Micco hanno inflitto l’ennesima ferita al cuore di una famiglia camorristica già pregna di dolorosissime cicatrici.

Probabilmente, poteva esserci qualsiasi altro membro del clan D’Amico al posto di Lucca: lo scorso sabato, i “bodo” dovevano “fare il morto”. Proprio come accadde la mattina che seguì la notte di schiamazzi andata in scena nel rione de Gasperi per festeggiare la scarcerazione di Pasquale Damiano, rampollo del clan dei “pazzignani” che insieme all’alleato Salvatore Montefusco bramavano di sfidare i De Micco. Proprio per mandare all’aria quei piani, i rivali optarono per l’omicidio di un innocente, un soggetto estraneo alle dinamiche camorristiche, seppure imparentato con il ras dell’isolato 17: Emanuele Pietro Montefusco, fratello di Salvatore, fu freddato sul ciglio del marciapiede dove trascorreva le giornate intento a vendere rotoloni di carta. In quel frangente, i De Micco lanciarono un monito ben più inquietante ai rivali, esternando la volontà di uccidere anche i familiari innocenti. Un omicidio che rischiava di introdurre un’escalation di violenza senza precedenti che fu stroncata sul nascere con l’arresto di Salvatore Montefusco.

Uno scenario non equiparabile a quello in cui è maturato l’omicidio di Lucca che probabilmente è stato il primo bersaglio intercettato dal commando rivale o quello più facile da stanare. Tra i palazzoni del Conocal l’omicidio era nell’aria da tempo, fin dall’estate scorsa. Pochi giorni prima dell’omicidio di Montefusco, un commando aveva fatto irruzione nel fortino dei D’Amico per cercare di uccidere proprio il nipote di Lucca, nonché reggente del clan, mentre si trovava in strada con altri due affiliati che probabilmente fungevano da guardaspalle. I tre trovarono tempestivamente rifugio in un palazzo e solo per questa ragione riuscirono a sventare la morte.

Azioni analoghe, “stese”, azioni intimidatorie, erano pressoché all’ordine del giorno nella roccaforte dei D’Amico. Segnali di avvertimento o prove generali che sembravano inequivocabilmente destinate a sfociare in un agguato. Un omicidio pesante quello di Lucca, non per la caratura criminale del soggetto assassinato, ma per lo scenario nel quale si colloca e per i plurimi significati associabili a quell’azione delittuosa. Soprattutto perché è maturato in vista delle scarcerazioni attese in casa D’Amico e che dovrebbero giungere a breve. In particolare, il clan si starebbe riorganizzando intorno a due figure in procinto di tornare a Ponticelli: Giuseppe Riccardi, compagno di una delle sorelle D’Amico che in carcere avrebbe stretto una serie di alleanze strategiche, non ultima quella con i Formicola di San Giovanni a Teduccio e soprattutto Salvatore Ercolani, marito di Nunzia D’Amico.

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