L’ipotesi che i de Micco, il clan che detiene il controllo degli affari illeciti nel quartiere Ponticelli, si stessero organizzando per pianificare un’epurazione interna, aleggiava sui rioni in balia della camorra, fin dai giorni successivi al blitz che lo scorso 3 ottobre ha portato all’arresto di 60 soggetti legati ai De Micco-De Martino, molti dei quali già detenuti in carcere. Un blitz che ha aggravato la posizione delle figure apicali e al contempo ha messo fine alla libertà di diverse pedine cruciali, concorrendo a delineare un nuovo equilibrio interno al clan dei cosiddetti “bodo”.
Le settimane che hanno preceduto il blitz erano state principalmente minate da plurimi dissidi tra Fabio Riccardi, stimato essere uno dei due reggenti del clan De Micco, e diverse figure di spicco della stessa organizzazione, prettamente spazientite dalla politica avviata dal ras in ordine alla gestione del denaro e alle attività illecite gestite direttamente da lui per curare i suoi interessi economici, a discapito di quelli del clan. Una priorità che fin da subito ha concorso a gettare l’ombra del dubbio sulle motivazioni che spingevano il ras ad accumulare ingenti quantitativi di denaro, una politica che i fratelli Sarno avevano intrapreso alla vigilia del loro pentimento e che per questo non era vista di buon occhio dagli altri sodali.
Le liti tra Riccardi e altre figure apicali del clan de Micco radicate nel “parco di Topolino” proprio nel periodo in cui è avvenuto l’agguato in cui è rimasto ferito Mario Liguori, avrebbero concorso a minare ulteriormente i rapporti tra le parti, compromettendo sempre di più la posizione del ras scarcerato a febbraio del 2023 e quasi subito chiamato a coprire un ruolo cruciale, alla luce dei dissidi interni sfociati nel tentato omicidio di Ciro Naturale, il broker della droga che ricopriva il ruolo di reggente del clan De Micco quando fu vittima di quell’agguato che per un periodo fece pendere la bilancia a favore dei De Martino. Un’azione frutto di un’epurazione interna, voluta dai cosiddetti “XX” proprio per approfittare del momento propizio, favorito da una serie di scarcerazioni che legittimavano le ambizioni del clan capeggiato da Francesco De Martino, con l’appoggio di due dei suoi tre figli a piede libero, Giuseppe e Salvatore. Paradossalmente, malgrado Riccardi sia stato chiamato in causa per tamponare l’emergenza scaturita da quell’agguato, frutto di un’epurazione interna, ha rischiato di morire, gettato in pasto a quelle stesse logiche.
Non è un segreto che negli ultimi tempi, la tensione tra Riccardi e gli altri fedelissimi dei De Micco era schizzata alle stelle. I vertici del clan avevano più ragioni per disfarsi del ras che per perorare la sua causa. Un copione che, del resto, più volte è andato in scena in passato e ha visto altre figure apicali del clan dei cosiddetti “bodo” pagare con la vita velleità eccessive, irriverenze e mancanze di rispetto.
Nei giorni precedenti al blitz, aleggiava un piano ben preciso sulle sorti del ras secondo il quale i De Micco avrebbero atteso la ripresa delle ostilità con i D’Amico per uccidere Riccardi, in modo da far ricadere le colpe sui rivali, spacciando quell’omicidio come il primo punto d’oro portato a casa dai “fraulella”.
Del resto, non è un segreto che il nome di Fabio Riccardi figura nella lista nera dei rivali da uccidere per vendicare la morte della donna-boss Annunziata D’Amico, in quanto, nelle ore successive all’omicidio della “passillona”, il ras dei De Micco si recò nel campo rom di Secondigliano che si trovava nei pressi dell’istituto penitenziario in cui erano recluse diverse figure apicali del clan per esplodere dei fuochi d’artificio e “festeggiare” insieme a loro il conseguimento di un obiettivo cruciale che aveva di fatto messo fine alla faida di camorra in corso a Ponticelli, consacrando l’egemonia dei De Micco.
Un affronto che i D’Amico intendono vendicare uccidendo tutte le persone che hanno ricoperto un ruolo in quell’omicidio e che avrebbero concorso a gettare benzina sul fuoco, come avrebbe fatto Riccardi rendendosi autore di quel clamoroso gesto.
Per questo motivo, i De Micco avrebbero optato per una strategia astuta e oculata, riservandosi di attendere il momento propizio per compiere quell’epurazione interna che doveva apparire agli occhi di tutti come il primo omicidio sui quali c’era la firma dei D’Amico a caccia di una vendetta bramata da circa 10 anni, ormai.
In sostanza, i De Micco avrebbero temporeggiato, attendendo le scarcerazioni imminenti destinate a rinfoltire il clan D’Amico, quella di Giuseppe Riccardi, compagno di una delle sorelle D’Amico, alla quale farà seguito quella del marito della donna-boss uccisa, Salvatore Ercolani. Dal loro canto, i “fraulella” hanno ampiamente dimostrato l’intenzione di attendere queste scarcerazioni ormai prossime per colpire i rivali con l’intento non solo di vendicare l’omicidio della donna-boss, ma anche per cercare di riconquistare un ruolo di primo ordine nell’ambito del contesto malavitoso locale. Viene da sé che qualora in questo clima si fosse consumato l’omicidio di Riccardi, difficilmente la pista più accreditata agli occhi degli inquirenti sarebbe apparsa quella dell’epurazione interna, al cospetto della più plausibile vendetta da parte del clan rivale.
Il blitz che ha fatto scattare le manette per 60 affiliati al clan De Micco-De Martino e gli eventi che si sono susseguiti di recente, avrebbero stravolto i piani del clan. Probabilmente Riccardi era consapevole di avere le ore contate: quegli eventi inaspettati avevano stravolto paini ed equilibri e avevano introdotto un clima ben più ostico che in qualsiasi momento poteva sfociare nel suo omicidio e per questo potrebbe aver deciso di non rincasare, seppure sottoposto all’obbligo di rientrare alle 20 presso la sua abitazione, quella sera ha compiuto una violazione per recarsi in un nascondiglio più sicuro. Fatto sta che all’alba di venerdì 18 ottobre, quando le forze dell’ordine si sono recati a casa del ras per arrestarlo, non lo hanno trovato. La sua latitanza è però durata circa 24 ore: Riccardi si è consegnato spontaneamente, consapevole di non poter resistere a lungo alle plurime pressioni alle quali era sottoposto per sviare le ricerche delle forze dell’ordine, ma anche dei killer pronto a stanarlo. Per giunta, una latitanza tranquilla, senza la potenziale copertura del clan, appariva piuttosto utopistica e così Riccardi avrebbe deciso di mettersi in salvo consegnandosi alla giustizia. Secondo quanto riferito da alcune fonti vicine ai familiari del ras, quella decisione sarebbe stata spinta e sostenuta dal desiderio di voltare le spalle alle leggi della camorra per avviare un percorso di collaborazione con la giustizia.
L’unico elemento certo, alla luce dello scenario che si stava delineando intorno a lui è che privilegiando il carcere alla latitanza, Riccardi può aver compiuto la mossa che gli salvato la vita.