Uno scenario inquietante, quello che si sta delineando nel rione De Gasperi di Ponticelli, a suon di incursioni e spari, e che vede i reduci del clan dei “pazzignani” nel mirino dei De Micco, organizzazione che detiene saldamente il controllo degli affari illeciti nel quartiere.
Non è la prima volta che accade. In passato, in più occasioni gli ex Sarno che hanno continuato a seguire e servire il credo camorristico sono finiti nel mirino dei cosiddetti “bodo”. Vuoi per richieste estorsive legate alle piazze di droga che rappresentano il business principale dal quale la cosca ricava proventi illeciti da tempo immemore, vuoi per dissidi e litigi molto spesso sfociati in risse e spari. Tuttavia, stavolta è diverso, perché a voltare le spalle alla malavita è sta Luisa De Stefano, figura di primo ordine della camorra napoletana. Da sempre addentrata nelle dinamiche camorristiche della periferia orientale di Napoli, fin dall’epoca dei Sarno, la “pazzignana” ha ricoperto un ruolo cruciale non solo all’interno del clan di famiglia, ma anche in termini di alleanze ed intrecci malavitosi che hanno segnato gli ultimi decenni della scena camorristica della periferia orientale di Napoli ma che, proprio grazie ad una serie di sodalizi strategici, è riuscita ad estendere il suo raggio d’azione fino al centro di Napoli e all’entroterra vesuviano.
Non è difficile comprendere perché il suo pentimento sia temuto da diversi esponenti della criminalità napoletana e seppure le rivelazioni che l’ex donna-boss sta riferendo alla magistratura si annunciano destinate ad inguaiare principalmente i soggetti con i quali ha stretto accordi ed alleanze, all’indomani dell’ufficialità del pentimento della De Stefano, i De Micco sarebbero immediatamente scesi in campo per regolare i conti con i familiari rimasti a Ponticelli, intimandogli di lasciare il quartiere.
Un’imposizione che non rappresenta soltanto una sorta di ritorsione per le angherie che la De Stefano ha indirizzato ai parenti dei Sarno in seguito al pentimento degli ex boss di Ponticelli, ma anche una vera e propria azione dimostrativa finalizzata a dissuadere dall’emulare le gesta della “pzzignana” quegli affiliati al clan già destinatari di pesanti condanne o che si accingono ad incassare sonori verdetti da parte della magistratura.
Un copione che in forma più lieve andò in scena già contestualmente al pentimento di Tommaso Schisa, primogenito di Luisa De Stefano e che vide i familiari del rampollo del clan passato dalla parte dello Stato, subire una serie di vessazioni e imposizioni da parte dei De Micco-Mazzarella. L’episodio più emblematico in tal senso riguarda il pestaggio di una donna che accompagnava una delle zie di Schisa, nonché sorella di Luisa De Stefano, alla cappella di famiglia nel cimitero di San Giovanni a Teduccio, dove sono custodite le spoglie dei parenti defunti. In quel frangente, alle due donne fu intimato di non recarsi più nel quartiere controllato dagli alleati dei De Micco, in quanto la loro presenza era sgradita, soprattutto per effetto delle angherie e delle violenze che il clan aveva indirizzato ad ampio raggio, a scopo ritorsivo, anche a soggetti estranei alle dinamiche camorristiche, quando l’alleanza in cui confluì anche l’organizzazione capeggiata da Luisa De Stefano, conquistò il controllo del territorio.
Ben più cruento lo scenario contemporaneo, non solo perché le dichiarazioni di Luisa De Stefano si annunciano destinate a confermare quelle già rese dal figlio Tommaso, ma soprattutto perché l’ex donna-boss dispone anche di ulteriori informazioni in grado di far luce anche su altre vicende e dinamiche di cui il suo primogenito poteva non essere era a conoscenza.
A temere particolarmente questo scenario sono soprattutto i parenti della De Stefano, preoccupati dai risvolti giudiziari che potrebbero scaturire dalle sue rivelazioni e al contempo minacciati dai De Micco che mirano ad allontanarli da Ponticelli per disfarsi definitivamente di quello storico e odiato nemico.
Proprio come accadde all’indomani del pentimento di Tommaso Schisa, i reduci del clan dei “pazzignani” proprio non vogliono saperne di lasciare il quartiere seguitando ad ostentare un fermo attaccamento all’ideologia criminale, al pari della ferma volontà di continuare a detenere il controllo del rione De Gasperi, l’arsenale per il quale sembrano essere disposti a tutto, anche a perdere la vita. Consapevoli di essere finiti nel mirino dei rivali, vivono da segregati in casa e si guardano bene dal compiere un passo falso che potrebbe costargli la vita. I più esposti al pericolo di un agguato sono il ras reggente del clan, Giovanni De Stefano detto “Giovannone”, fratello di Luisa e alleato di Salvatore Montefusco, fautore del moto di rivolte che nei mesi scorsi hanno portato a un’escalation di violenza tra le strade del quartiere. Una duplice motivazione che di per sé fornisce ragioni sufficientemente valide ai De Micco per collocare il nome del ras dei “pazzignani” in cima all’elenco dei soggetti da eliminare. Un nome seguito a ruota da quello dei nipoti della De Stefano che stanno dando man forte allo zio “Giovannone” e da sempre in rotta di collisione con i De Micco.
In questo frangente, ad imbruttire i toni è soprattutto l’insofferenza della gente comune. Decine di famiglie estranee alle dinamiche camorristiche e costrette a vivere nel rione De Gasperi da uno stato di oggettiva necessità, ma che per questo non sono disposte a pagare il prezzo più alto nell’ambito di un regolamento di conti tra famiglie camorristiche che non riguarda i civili in nessun modo.
Eppure, alla luce degli episodi avvenuti di recenti, come gli spari dal balcone da parte dei “pazzignani” all’indirizzo del commando dei De Micco giunti nel rione per intimare ai parenti “dell’infame” di lasciare il quartiere, le paure e la rabbia dei civili appaiono più che giustificate.
Alla luce dello scenario che si respira nel rione De Gasperi, sembra più che concreto e palpabile il rischio che delle vite avulse dalle logiche malavitose possano avere la peggio nell’ambito di una situazione dettata da conti in sospeso e ragioni dettate dall'”onore malavitoso”. Da un lato le imposizioni del clan egemone che marca il territorio a 360 gradi per rivendicare il controllo capillare del quartiere ed ostentare un potere totale su tutto e tutti e per questo, lo status dei “pazzignani”, parenti di ben due collaboratori di giustizia, rappresenta un’occasione imperdibile per rimarcare a chiare lettere un messaggio che I “bodo” mirano ad indirizzare a tutti in maniera trasversale: affiliati che bramano di collaborare con la giustizia, soggetti legati ai clan rivali e anche ai cittadini, imponendo omertà e connivenza, spadroneggiando nei rioni e tra le strade del quartiere, a volto scoperto e con le armi in bella mostra, proprio come avviene nei territori militarizzati.
Dall’altro lato l’egoismo atavico dei “pazzignani“, arroccati nella loro roccaforte e felici di imporsi una vita di ansie e paure, pur di non sventolare bandiera bianca e lasciare il rione e il quartiere per andare incontro a una vita più dignitosa e segnata dal rispetto delle regole. La necessità di conseguire la patente di guida per andare in giro in auto e altri oneri analoghi rappresentano i fattori limitanti che impedirebbero ai parenti della De Stefano di lasciare il quartiere. In sostanza, la consapevolezza di poter spadroneggiare nel rione, anche raggirando qualsiasi tipo di regole, rappresenta la motivazione portante che li dissuade dal sottrarsi al pericolo tangibile al quale sono esposti per andare incontro a un futuro migliore. Un mix deleterio e letale tra ignoranza e arroganza che li vede spaventati più dall’idea di “non essere più nessuno”, una volta usciti di scena camorristica del quartiere e soprattutto dal “loro rione”, che dall’ipotesi di finire vittime del fuoco nemico.
Un atto di egoismo puro che gli impedisce di interrogarsi circa lo scenario più importante: l’incolumità delle famiglie estranee a quelle logiche e che non meritano di subire a loro volta le conseguenze di quella situazione. Cittadini che da decenni subiscono gli schiamazzi e le insidie insite nelle piazze di droga gestite dai “pazzignani” da tempo immemore, ma anche le tensioni riconducibili ai dissidi più recenti, le incursioni armate dei rivali, indirizzate ai parenti della De Stefano, nell’ambito delle quali però potrebbe avere la peggio l’innocente del turno del quale prontamente si dirà “si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato”. E, invece, in questo momento storico più che mai, la presenza “più sbagliata” che si rileva nel rione De Gasperi è quella dei familiari della De Stefano che non solo hanno rifiutato il programma di protezione, ma che si ostinano a seguire e servire con esaltazione e fermezza il credo camorristico.
Così come accadde all’indomani della “strage dei parenti dei Sarno”, fortemente voluta proprio da Luisa De Stefano e che portò all’allontanamento obbligatorio da Ponticelli di tutti i familiari degli ex boss che furono costretti a trasferirsi in località protetta, alla luce dello scenario che si sta delineando nel rione, l’attuazione di un provvedimento analogo appare l’unica soluzione possibile per sventare un disastro annunciato. I parenti della De Stefano devono lasciare il quartiere e attendere altrove l’esito del verdetto che inevitabilmente scaturirà dalle dichiarazioni rese alla magistratura dall’ormai ex donna-boss, al fine di preservare l’incolumità di quei cittadini che non possono e non devono subire ancora le angherie e le imposizioni della camorra.