Tra le condanne incassate di recente in primo grado dai protagonisti dell’alleanza che tra il 2018 e il 2020 dominò la scena camorristica della periferia orientale di Napoli, spicca la stangata inflitta alla “pazzignana” Antonella De Stefano e al marito Michele Damiano detto ‘o russ’. I due coniugi hanno incassato rispettivamente 10 anni e 10 mesi e 11 anni e 4 mesi di reclusione, malgrado siano stati arrestati da incensurati, seppure da decenni fossero a capo di una redditizia piazza di droga radicata nella loro abitazione al primo piano dell’isolato 10 del rione De Gasperi di Ponticelli.
Un arsenale della droga avviato quando il rione fungeva ancora da fortino del clan Sarno e che per molti anni ha garantito alla famiglia Damiano floridi guadagni senza particolari grattacapi, – eccezion fatta per i contrasti con le altre organizzazioni camorristiche del quartiere – malgrado la semplice e costante presenza di numerosi acquirenti avrebbe dovuto fungere da condizione necessaria e sufficiente per attirare l’attenzione delle forze dell’ordine. Tuttavia, i due coniugi non hanno mai ricevuto “visite a sorpresa”, almeno fino alla notte in cui sono stati tratti in arresto dai carabinieri, un anno fa.
Le circostanze che hanno visto i coniugi Damiano finire dietro le sbarre da incensurati per poi incassare una severa condanna, appaiono più che anomale, soprattutto se si pensa che l’unica imposizione che hanno ricevuto nel corso della loro “lunga carriera” è quella legata al divieto di vendere eroina. Quando Luisa De Stefano, la donna-boss a capo del clan delle “pazzignane”, nonché sorella di Antonella, fece arrivare a Ponticelli anche l’eroina, al fine di incrementare la vendita di stupefacenti per ricavare maggiori introiti, si vide costretta a rivedere i suoi piani per negoziare un accordo, perché quella decisione suscitò vivo malcontento. A intralciare i piani del clan delle “pazzignane” non fu un’organizzazione rivale, ma con un poliziotto: “lo sceriffo” che fino a qualche anno fa ha messo a ferro e fuoco il quartiere con metodi talvolta opinabili. Proprio come avvenne in quella circostanza, quando vietò la vendita di eroina perché, a suo dire, quel tipo di stupefacente mieteva troppe morti. Un poliziotto consapevole di interfacciarsi con la reggente di un clan camorristico e ancor più a conoscenza della presenza di diverse piazze di droga controllate e gestite da lei e dalle sue parenti, scese a patti con la camorra per imporre il suo dictat: l’eroina no, tutte le altre droghe sì.
Un retroscena da brividi, soprattutto se si pensa che gli affari della piazza di droga gestita dalla coppia Damiano-De Stefano, non sono mai stati intralciati, in nessun modo.
Probabilmente, la magistratura è venuta a conoscenza dell’esistenza di quel prolifero business illecito tra le mura di casa Damiano-De Stefano, solo quando Tommaso Schisa, il primogenito di Luisa De Stefano, ha deciso di collaborare con la giustizia. Le dichiarazioni rese da Schisa si sono infatti rivelate determinanti ai fini dell’arresto degli zii che non a caso hanno cercato di osteggiarne il percorso di collaborazione in tutti i modi per indurlo a ritrattare, affinché l’”impero del male” che per decenni gli aveva garantito una vita agiata e prospera, non si sgretolasse come un castello di sabbia.
Nessuna annotazione di servizio, nessuna consultazione con un magistrato: per decenni, il quartiere Ponticelli è stato gestito e controllato con questo modus operandi. Voltandosi indietro e ripercorrendo il passato a ritroso, soprattutto alla luce dei recenti risvolti giudiziari che hanno visto il sostituto commissario Vittorio Porcini patteggiare una pena per corruzione, risulta comprensibile il senso di sconforto e sfiducia nei riguardi delle forze dell’ordine che dilaga tra gli abitanti del quartiere.
Un aneddoto che, molto probabilmente, “la pazzignana” Luisa De Stefano avrà già riferito alla magistratura durante i suoi primi 180 giorni da collaboratrice di giustizia. L’ormai ex reggente del clan del rione De Gasperi potrà sicuramente chiarire numerosi aspetti e soprattutto spiegare alla magistratura come e perché il business che ha consentito a suo cognato e sua sorella Antonella di guadagnare illecitamente cifre da capogiro, abbia beneficiato di una sorta di immunità che sembra essere venuta meno contestualmente all’uscita di scena dello “sceriffo”.
Risulta evidente che tra i soggetti più preoccupati dalla collaborazione della De Stefano figurano proprio i suoi parenti, così come comprovano i numerosi contenuti pubblicati sui social in cui i familiari insultano e denigrano “i pentiti”. Un copione analogo a quello andato in scena quando a voltare le spalle all’ideologia camorrista fu Tommaso Schisa. Tuttavia, il pentimento della “pazzignana” si annuncia destinato a sortire conseguenze ben più gravi e non solo perché potrebbero confermare e rafforzare le dichiarazioni già rese da suo figlio Tommaso. Luisa De Stefano ha ricoperto un ruolo di primo ordine nel contesto camorristico della periferia orientale di Napoli, ha intrecciato alleanze e curato affari illeciti, conosce mandanti ed esecutori di omicidi e molti altri dettagli che potrebbero concorrere ad aggravare soprattutto la posizione dei parenti detenuti e decretare il carcere per quelli ancora a piede libero. Uno spauracchio che i familiari esorcizzano sui social, come a voler allontanare l’ombra dell’onda che si accinge a palesarsi nelle loro vite e che si annuncia destinata a stravolgerle. Particolarmente significativo il messaggio pubblicato dalla nipote minorenne di Antonella De Stefano: “Meglio 30 anni di carcere che 100 da pentito, 1 giorno da re che 1000 da infame”.