Un mese fa, a Ponticelli, veniva ucciso Emanuele Pierino Montefusco, l’ennesima vittima innocente della criminalità che non verrà mai commemorata e ufficialmente riconosciuta tale.
Pierino aveva 48 anni, si era lasciato alle spalle da tempo i precedenti per rapina e spaccio, soprattutto perché diversi ictus e infarti avevano compromesso la sua salute. La parte sinistra del corpo era parzialmente immobilizzata, senza tralasciare i problemi di alcolismo che si trascinava dietro da tempo.
Era come un bambino, a tutti gli effetti. Seppure avesse avuto una pistola tra le mani, non sarebbe stato in grado di difendersi.
Pierino è stato ucciso solo perché era il fratello di Salvatore Montefusco alias “Zamberletto”, ras del gruppo emergente del rione De Gasperi che da diversi mesi aveva deciso di osteggiare l’egemonia dei De Micco che dal loro canto sono entrati in azione per colpire i rivali e ridimensionarne le velleità, all’indomani della notte di schiamazzi andata in scena proprio nel rione per festeggiare una scarcerazione e annunciare l’incipit di una nuova era camorristica.
I De Micco dovevano assolutamente fare un morto per portare a casa “un punto d’oro” nell’ambito dell’eterna faida di Ponticelli.
E non si sono fatti scrupoli ad uccidere un innocente, una persona che con le logiche di quella faida non aveva nulla da spartire e che con quel fratello che aveva deciso di osteggiare il clan egemone a Ponticelli non andava neanche particolarmente d’accordo.
Pierino era il bersaglio ideale da colpire per compiere una vendetta trasversale e inscenare un’azione dimostrativa finalizzata a lasciar intravedere ai rivali il pericolo al quale stavano sovraesponendo i familiari estranei alle logiche camorristiche, seguitando a restare segregati in casa, proprio perché consapevoli di essere finiti nel mirino dei killer dei “bodo”. Un’intenzione sottolineata da alcuni messaggi apparsi sui social nei giorni successivi e che annunciano che la mattanza non è finita, perché sul libro nero dei De Micco figurano i nomi di altre tre persone da uccidere.
Pierino, da anni, si guadagnava da vivere venendo rotoloni di carta sul ciglio del marciapiede di via Argine dove è stato assassinato. Quella mattina, come tutte le mattine, si era messo lì, sperando di piazzare qualche vendita, non temendo per la sua incolumità. Mai avrebbe potuto immaginare che non sarebbe morto dopo l’ennesimo infarto, ma che sarebbe stato ucciso in un agguato di camorra al posto di suo fratello, perché i sicari del clan rivale non potevano arrivare a lui.
Pierino era il bersaglio più facile, quello più esposto e anche il più ingenuo.
Un omicidio assai simile a quello di Giovanni Sarno, fratello degli ex boss di Ponticelli, disabile e con problemi di alcolismo, o quello di Mario Volpicelli, cognato dei Sarno, umile e onesto lavoratore. Entrambi furono uccisi dall’alleanza costituita dalle vecchie famiglie camorristiche di Napoli est per “punire” il pentimento dei Sarno, all’indomani delle prime condanne definitive incassate dai parenti, in primis quelle per la strage del bar Sayonara.
I Minichini, i De Luca Bossa, gli Aprea, “le pazzignane”: tutti clan che rivendicano conti in sospeso, ruggini e rancori irrisolti con gli ex boss di Ponticelli, responsabili, a loro avviso, del tracollo camorristico e familiare che li ha visti fronteggiare periodi di magra, messi all’angolo da clan maggiormente strutturati e organizzati, in seguito all’uscita di scena dei capoclan/capofamiglia, inchiodati proprio dalle dichiarazioni rese dai fratelli Sarno quando hanno deciso di collaborare con la giustizia.
I De Micco, che fino a un mese fa, godevano della “fama del clan ancora legato a certe regole dettate dal vecchio codice d’onore”, hanno ufficialmente gettato la maschera mostrando il volto più sfrontato dell’organizzazione emulando le gesta dei rivali che a loro volta non si fecero scrupoli ad uccidere degli innocenti, pur di portare a compimento l’agognata vendetta.
L’omicidio di Montefusco ha sancito un palpabile punto di non ritorno, soprattutto per il moto di indignazione collettiva che ha sortito tra la gente comune. Pierino era conosciuto e benvoluto dagli abitanti del quartiere, tutt’altro che condizionati dai precedenti penali legati alla sua vita passata: per gli abitanti di Ponticelli era l’omone simpatico e gentile che vendeva i rotoloni di carta a via Argine. Molti hanno scoperto quel vincolo di parentela che lo ha condannato a morte solo dopo l’omicidio, quando le foto di Pierino e di suo fratello Zamberletto sono apparse sui quotidiani di cronaca.
Un omicidio che ha suscitato un’indignazione estesa a tutti i clan coinvolti nella faida di camorra, perché Zamberletto, consapevole di essere finito nella black list dei rivali ha vissuto da segregato in casa per evitare di farsi ammazzare, pur consapevole probabilmente che così facendo avrebbe sovraesposto a un pericolo tangibile i parenti estranei alle dinamiche camorristiche, come effettivamente è accaduto. Sapeva di esporre a un pericolo tangibile i suoi familiari, ma il ras ha preferito preservare la sua vita e non sventolare bandiera bianca, pur di continuare ad alimentare le logiche di una guerra che era ben consapevole di non poter combattere, perché incapace di contrastare la forza militare ed economica dei rivali. Un atto di orgoglio e ostinazione pagato da suo fratello Pierino.
Dal loro canto, i De Micco, pur consapevoli di presentare il conto a una persona che non ha appoggiato in alcun modo il piano criminale di Salvatore Montefusco, hanno ugualmente optato per quell’omicidio dal quale trapela lo scarso o del tutto nullo valore che la camorra attribuisce alla vita umana.
Una mossa che non ha sortito l’effetto sperato, perchè Montefusco non è uscito allo scoperto per vendicare la morte del fratello. Un fatto che non stupisce chi conosceva bene Pierino e sa che tra lui e suo fratello Zamberletto non corresse buon sangue. A maggior ragione, il ras non avrebbe mai messo a repentaglio la sua vita per cadere nella trappola tesa dai rivali.
Gli arresti che hanno tradotto in carcere Salvatore e Carmine Montefusco, padre e figlio, entrambi finiti nel mirino dei rivali, gli hanno letteralmente salvato la vita. Un evento che sembra non aver minimamente inficiato i piani dei rivali che, come già detto, sui social hanno annunciato l’intenzione di uccidere altre tre persone.
Un piano anticipato all’indomani dell’omicidio di Pierino e probabilmente ridimensionato dagli arresti. Appare assai probabile, infatti, che due dei tre nomi finiti nel libro nero dei “bodo”, fossero proprio quelli di Montefusco padre e figlio. Un piano probabilmente congelato in attesa della scarcerazione di Zamberletto senior e junior, mentre resta da capire quale sia il terzo nome della lista. Il nome più quotato è quello di Giovanni e Stefano, alias “Giovannone”, amico e alleato di Montefusco, rimasto a presidiare il rione De Gasperi insieme ai nipoti e agli altri parenti che supportano le sue gesta criminali.
Nel giorno del trigesimo della morte di Pierino Montefusco è lecito porsi una domanda: era veramente lui il bersaglio da “buttare a terra” per mettere fine alla faida di camorra?