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Giustizia, energia e sanità: cosa cambia con l’autonomia differenziata

Redazione Napolitan di Redazione Napolitan
20 Giugno, 2024
in In evidenza, News
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Giustizia, energia e sanità: cosa cambia con l’autonomia differenziata
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In base alle legge sull’Autonomia differenziata, approvata definitivamente anche dalla Camera dei Deputati, saranno ben 23 le materie oggi di legislazione concorrente (cioè, di comune competenza di Stato e Regioni) che potranno passare integralmente a carico gli enti regionali a statuto ordinario. Non solo. Anche altre tre materie oggi di competenza solo centrale – l’organizzazione della giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali – potrebbero essere ulteriormente decentrate.

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Dai rapporti internazionali alla protezione civile, dall’energia alla tutela della salute, dalla ricerca scientifica all’ambiente, senza dimenticare le casse di risparmio, gli aeroporti, la previdenza complementare o l’ambiente. Insomma: si riconosce alle Regioni un maggiore livello di autodeterminazione su varie materie, finora in capo all’amministrazione centrale: avverrà una redistribuzione dei poteri, grazie a una diversa allocazione delle risorse pubbliche, da Roma verso quei territori che ne faranno richiesta.

La prima volta che storicamente si è cominciato a parlare di Autonomia è stato nel 2001 con la modifica del Titolo V della Costituzione voluta dall’allora maggioranza di governo di centrosinistra, poi approvata anche dal popolo italiano nel successivo referendum confermativo. In quell’occasione si andarono a indicare le materie di competenza statale, lasciando alle Regioni voce in capitolo sugli altri settori normativi, ma si stabilì anche – con la modifica dell’articolo 116 – che le Regioni fossero libere di chiedere “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. La legge Calderoli fa in ogni caso proseguire una storica battaglia della Lega, che nel 2017 promosse dei referendum in Lombardia e Veneto, i cui risultati non vennero però poi immediatamente concretizzati. Ecco quindi arrivare al ddl oggi passato al vaglio anche dell’Aula di Montecitorio, che si compone di 11 articoli in cui vengono definite le procedure per il passaggio dell’Autonomia alle Regioni.

Il processo non è tuttavia automatico: le Regioni potranno chiedere e concordare con il governo la “devoluzione” di competenze e risorse. L’Autonomia differenziata prevede infatti la possibilità di trattenere parte del gettito fiscale generato sul territorio per il finanziamento dei servizi e delle funzioni di cui si chiede il trasferimento. L’articolo 1 punta a definire i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (previste dall’articolo 116 della Costituzione), nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese tra lo Stato e le singole regioni interessate. Finora a rivendicare un maggiore protagonismo amministrativo sono state Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Ma l’iter per ottenere l’autonomia prima ci sarà lo schema di base tra Stato-Regione, poi gli emendamenti di Conferenza unificata e commissioni parlamentari, a seguire l’approvazione del Consiglio regionale, infine un disegno di legge del Consiglio dei ministri che il Parlamento dovrà esaminare e votare. Il finanziamento dell’Autonomia dovrebbe avvenire senza aggravi per la finanza pubblica: la clausola di invarianza finanziaria è contenuta nell’articolo 9.

Un punto fondamentale della legge (articolo 4), voluto in particolare da Fratelli d’Italia e Forza Italia, stabilisce che l’attribuzione di ulteriore autonomia alle Regioni è consentita subordinatamente alla determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) previsti dalla Costituzione e riguardanti tutte le Regioni del Paese. Sarà quindi necessario stabilito il grado minimo di servizi da rendere al cittadino in maniera uniforme in tutto il territorio, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. Inoltre, per evitare squilibri economici fra le Regioni che aderiscono all’Autonomia e quelle che non lo fanno, il disegno prevede misure perequative, cioè risorse aggiuntive anche per chi non chiede maggiore autonomia, per il finanziamento dei servizi e delle funzioni di cui si chiede il trasferimento. La garanzia assicurata da Lep uguali per tutti dovrà garantire l’uniformità dei servizi offerti ai cittadini da Nord a Sud, anche se nella sostanza molto dipenderà dai finanziamenti che lo Stato centrale potrà mettere a disposizione per far convergere le prestazioni, oggi molto differenziate, verso lo stesso livello. In particolare i diritti civili e sociali devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale “equamente” e nel rispetto dei principi sanciti dall’articolo 119 della Costituzione.

Sotto questo punto di vista stata prevista allo scopo una Cabina di regia, nominata da una Commissione specifica – guidata dall’ex presidente della Corte Costituzionale Sabino Cassese – per la definizione degli stessi Lep. Cabina di regia composta da tutti i ministri competenti, assistita da una segreteria tecnica, collocata presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio. Dovrà provvedere a una ricognizione del quadro normativo in relazione a ciascuna funzione amministrativa statale e delle regioni ordinarie, e all’individuazione delle materie o ambiti di materie riferibili ai Lep sui diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale. A partire da oggi il governo Meloni avrà due anni di tempo per varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep. Mentre Sato e Regioni, una volta avviata, avranno tempo 5 mesi per arrivare a un accordo. Le intese potranno durare fino a 10 anni e poi essere rinnovate. Oppure potranno terminare prima con un preavviso di almeno 12 mesi.

Le otto materie che non prevedono i Lep possono essere trasferite in tempi molto rapidi alle Regioni che ne faranno richiesta. Si tratta dei rapporti internazionali e con la Ue delle Regioni; del commercio con l’estero; le professioni; la protezione civile; la previdenza complementare e integrativa; il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; le casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario. L’undicesimo articolo inserito nella nuova legge, oltre a estendere la legge anche alle regioni a statuto speciale e le province autonome, reca la clausola di salvaguardia per l’esercizio del potere sostitutivo del governo. L’esecutivo dunque può sostituirsi agli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni quando si riscontri che gli enti interessati si dimostrino inadempienti, rispetto a trattati internazionali, normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza pubblica e occorra tutelare l’unità giuridica o quella economica. In particolare si cita la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni sui diritti civili e sociali.

Le regioni autonome sarebbero svantaggiate dal progetto: da una parte perché il Sud è un mercato essenziale per il Nord, dall’altra, perché le ampie differenze interne alle stesse regioni verrebbero aumentate dall’allocazione delle risorse, che andrebbe comunque a premiare le parti più ricche e meglio organizzate.

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