Per molto tempo, nella zona delle cosiddette “palazzine di Cercola” troneggiava un imponente murale che raffigurava un volto sorridente, affiancato da una bandiera americana e una scritta, “o’ mericano”, il soprannome del giovane ritratto in quell’enorme dipinto, rimasto inalterato fino al 2021 contestualmente all’iniziativa promossa dal Comune di Napoli che portò alla rimozione di tutti “i simboli del male” presenti in città: altari ed edicole votive edificate in memoria di boss e camorristi morti in agguati e anche murales, graffiti e rappresentazioni grafiche che inneggiavano alla camorra, furono cancellate in tutto il territorio cittadino, periferie comprese.
Non poteva essere diversamente perché ‘o mericano, alias Luigi Bevar, ritenuto contiguo al clan Fusco-Ponticelli, fu ucciso in un agguato di camorra il 27 gennaio del 2001.
Un delitto che matura quando l’impero dei Sarno inizia a vacillare e plurime organizzazioni cercano di farsi spazio per prendere il sopravvento sul clan che per circa 30 anni ha dominato incontrastato la periferia orientale di Napoli e l’entroterra vesuviano.
Sull’omicidio di Bevar c’è la firma del clan De Luca Bossa. La tesi più accreditata è quella che introduce il movente dettato dalle dinamiche camorristiche, tuttavia, il collaboratore di giustizia Vincenzo D’Ambrosio riconduce quell’omicidio a ben altre ragioni: ‘o mericano doveva essere ucciso per zittire un pettegolezzo che circolava con una certa insistenza secondo il quale Bevar avrebbe avuto una relazione con Anna De Luca Bossa. D’Ambrosio aggiunge che ‘o mericano temeva per la sua incolumità proprio per questo motivo.
Del resto, il 21 luglio 1996, Antonio De Luca Bossa e il cognato Ciro Minichini – legato sentimentalmente a sua sorella Anna De Luca Bossa – non si erano fatti scrupoli ad uccidere il 16enne Raffaele Riera. I due boss ordinarono di uccidere il minorenne proprio perchè aveva una relazione extraconiugale con la sorella del boss Antonio De Luca Bossa e moglie di Minichini. Raffaele era stato affidato alla famiglia De Luca Bossa per evitare che venisse ucciso dai Contini, clan con il quale la sua famiglia entrò in contrasto e il boss di Ponticelli lo aveva accolto sotto la sua ala protettrice, ma non poteva perdonargli di “essersi preso la confidenza in casa sua” con la sorella, nonché compagna del suo braccio destro Ciro Minichini.
I timori di Bevar erano più che fondati, ma secondo il pentito D’Ambrosio quello non fu l’unico motivo per il quale fu decretata la sua morte: insieme ad altri affiliati al clan Fusco-Ponticelli si era recato nel Lotto O, fortino del clan De Luca Bossa, per compiere un’azione di forza nei confronti di Ciro Minichini e degli altri gregari a piede libero.
Il collaboratore di giustizia Nunzio Grande indica Francesco Audino ‘o cinese come l’esecutore materiale dell’omicidio Bevar che avrebbe compiuto in concerto con Giuseppe De Luca Bossa, a fare da specchiettista Antonietta Romano, sorella di Lelè.
Il dettaglio più eclatante legato all’omicidio di ‘o mericano è proprio il coinvolgimento di una donna: ad incastrarlo, consegnandolo ai sicari che lo uccideranno, è proprio la preziosa collaborazione di Antonietta Romano che funge da filatrice, si apposta sotto casa di Bevar e ne studia tutti i movimenti.
Quel giorno, quando ‘o mericano arriva a casa, la donna inserisce la scheda in un a cabina telefonica che si trova proprio accanto all’abitazione di Bevar e chiama il fratello, ma risponde un’ altra persona.
«Mi passi mio fratello?», chiede Antonietta.
«Di’ pure a me – risponde l’ uomo dall’ altra parte – Hai visto il mio parente?».
«Sì, è nel circolo sotto casa», replica lei.
«Dietro la pescheria?», le chiede l’uomo.
«Sì, fate presto, altrimenti va via».
Pochi istanti dopo, Bevar viene giustiziato da un commando di tre sicari.
La collaborazione della donna, determinante per il buon esito dell’agguato, non passa inosservata e viene subito riferita ai gregari del clan al quale Bevar apparteneva. Gli inquirenti intercettano anche le conversazioni in cui amici e affiliati commentano l’omicidio di ‘o mericano e bramano vendetta, pianificando di sciogliere la donna nell’acido, punizione che la cosca capeggiata da Gianfranco Ponticelli destinava ai traditori, agli infedeli, in particolare alle donne, cancellando ogni traccia del corpo dell’”infame”.
A sottrarre Antonietta Romano a quella condanna a morte fu l’ordinanza di custodia cautelare che di lì a poco la portò a finire in carcere, accusata di concorso in omicidio.
E’ ancora D’Ambrosio a ricostruire agli inquirenti l’omicidio di Bevar al quale ha assistito, trovandosi a pochi metri di distanza dal luogo in cui lo aveva visto stranamente accerchiato da tre persone che conosceva bene e che di lì a poco lo avrebbero ucciso: Giuseppe De Luca Bossa, fratellastro del boss Antonio, Francesco Audino alias’o cinese e Ciro Minichini, braccio destro di Antonio De Luca Bossa.
D’Ambrosio racconta che Giuseppe De Luca Bossa ha sparato due o tre colpi alla schiena di Bevar. Quando era già a terra, anche Audino gli sparò contro due o tre colpi. Prima di andare via, Ciro Minichini gli poggiò sulla faccia la suola della scarpa e gliela girò per guardarlo.
I tre fuggirono a piedi, recandosi proprio verso la zona delle “palazzine di Cercola”, dove poi è stato realizzato il murale celebrativo di Bevar.
La cronaca contemporanea consegna un dettaglio particolarmente suggestivo: gli affiliati al clan Fusco-Ponticelli arrestati con l’accusa di voto di scambio politico-mafioso, in occasione delle ultime elezioni amministrative a Cercola, chiedevano voti anche a nome del “cinese” Francesco Audino, l’assassino di ‘o mericano, fedele gregario del clan operante a Cercola.