Continuano ad emergere dettagli e retroscena che concorrono a far luce sull’ultimo agguato di camorra avvenuto a Ponticelli, andato in scena nel tardo pomeriggio di sabato 27 aprile: gambizzato sul corso Ponticelli, mentre era in compagnia della moglie, Antonio Meo, 52enne originario del quartiere, nato e cresciuto nella zona del cosiddetto “stretto”, uno dei luoghi storici di Ponticelli e appartenente alla famiglia dei cosiddetti “resinari”. Un volto noto del quartiere che non solo per una questione anagrafica viene indicato tra gli appartenenti alla “vecchia guardia” camorristica, quella nata e cresciuta nel rispetto delle regole impartite dai Sarno e dagli “uomini d’onore” che hanno introdotto le dinamiche camorristiche tra le strade del quartiere negli anni ’80.
Il passato di Meo è segnato da un lutto eclatante: quando non era ancora diventato maggiorenne, la camorra gli ha ucciso il fratello maggiore. Vincenzo Meo, autista del boss Andrea Andreotti, fu una delle sei vittime della “strage del bar Sayonara”, una mattanza ordinata dai Sarno per mettere fine alla faida con Andreotti. Doveva essere un’azione dimostrativa eclatante della forza camorristica del clan capeggiato da ‘o sindaco e invece si tramutò in una strage di innocenti, quattro delle persone assassinate erano infatti estranee alle dinamiche camorristiche.
Suo fratello Vincenzo ha dunque pagato con la vita pochi mesi di affiliazione, mentre Antonio non si sarebbe mai legato a nessun clan, seppure descritto come un soggetto “traffichino” dedito alle truffe e alla pratica di ‘magagne’ ed espedienti. Un “magliaro”, uno dei tanti che si guadagnano da vivere lontano dalle strade del quartiere, raggiungendo altre città d’Italia, d’Europa o perfino di altri continenti per rifilare pacchi e truffe ai malcapitati di turno. Proprio per questo chi conosce il curriculum del 52enne non esclude che quei due colpi di pistola indirizzati agli arti inferiori e che pertanto palesano la chiara intenzione di ferire, ma non di uccidere, potrebbero rappresentare la punizione che si sarebbe meritato facendo un torto o un affronto alla persona sbagliata.
Del resto, il boss Marco De Micco, non appena tornò a Ponticelli nel 2021, dopo aver scontato una pena detentiva di circa 10 anni, tra le prima manovre finalizzate a ringalluzzire le casse del clan, impose estorsioni a tappetto a tutti i soggetti dediti agli affari illeciti, magliari e truffatori in primis. Proprio a loro furono indirizzate le richieste estorsive più ingenti e pertanto non è da escludere che dietro i due colpi di pistola indirizzati a Meo possa celarsi proprio un avvertimento che riconduce a uno scenario simile. Così come resta calda la pista della droga: alla nostra redazione continuano a giungere segnalazioni da parte di cittadini che dopo aver visto la foto di Meo lo hanno riconosciuto come uno degli “assidui frequentatori” di viale Margherita.