Antonio Meo, il 52enne gambizzato nel tardo pomeriggio di sabato 27 aprile sul corso Ponticelli, poco distante da piazzetta Egizio Sandomenico, l’area del quartiere Ponticelli che accoglie una scultura in memoria delle vittime della “strage del bar Sayonara” è il fratello di una delle sei persone che persero la vita proprio in quella mattanza che andò in scena più di trent’anni fa, lungo quelle stesse strade.
Incredibile, ma vero: Meo è stato attinto da colpi d’arma da fuoco alle gambe poco distante dal luogo dove suo fratello andò incontro alla morte nel 1989. Anche quel giorno, l’11 novembre 1989, era sabato. I killer entrarono in azione pressoché alla stessa ora, erano le 18,30.
Come di consueto, oggi come allora, tantissime persone passeggiavano sul corso di Ponticelli. Quel sabato pomeriggio del 1989 i bar Luisa e Sayonara erano gremiti. Sul lato opposto una piazzola con aiuole e fiori e bambini che giocavano. Altri s’intrattenevano su una pista di pattinaggio.
Una pioggia di proiettili, urla, orrore e rivoli di sangue lungo i marciapiedi. Cinque persone tramortite al suolo, una gravemente ferita, e un’altra colpita di striscio. I killer hanno agito in mezzo alla folla, vestiti da metalmeccanici, per mimetizzarsi tra i tanti operai del quartiere, usando mitragliette, pistole e fucili a canne mozze. I cadaveri sono rimasti per terra molto tempo: sparsi a poca distanza l’uno dall’ altro per oltre sessanta metri. Sulla strada in tanti che gridavano e invocavano aiuto.
Droga, appalti, lotto clandestino e racket delle estorsioni: queste le motivazioni alla base di quella strage, opera di un commando omicida formato da sette-otto killer giunto all’improvviso in corso Ponticelli. E’ uno squadrone della morte che si è servito di tre-quattro macchine. Vestiti con tute da meccanico, appena scendono si mettono sul viso dei passamontagna. Davanti al bar gelateria Luisa e al bar Sayonara spianano le armi. Per diversi minuti sparano all’impazzata dentro e fuori il locale. Il primo ad essere colpito e a cadere è il pregiudicato Antonio Borrelli, di ventisette anni. Quando lo raccolgono dà ancora qualche segno di vita. Muore mentre lo trasportano all’ ospedale Loreto Mare. Il padre è il gestore del Sayonara. Forse hanno sparato contro il negozio per colpire tutti e due, dicono gli inquirenti. Senza scampo le altre quattro persone investite dalla pioggia di proiettili. Difficile l’identificazione. Muoiono quasi all’ istante Mario Guarracino, 45 anni; Salvatore Benaglia soprannominato o Bill di 53; Gaetano Di Nocera, 52 anni cassintegrato dello stabilimento siderurgico Italsider di Bagnoli; Gaetano De Cicco, 38 anni, dipendente del Comune di Napoli: non è stato facile identificarlo in quanto aveva la faccia spappolata dai colpi ed era senza documenti. Almeno due degli assassinati erano semplici passanti. Persone qualunque.
Due le persone ferite: Vincenzo Meo 35 anni, ricoverato in gravi condizioni all’ ospedale, e Antonio Cito di 38 anni.
Vincenzo Meo è fratello maggiore di Antonio, il 52enne gambizzato ieri pomeriggio sul corso Ponticelli. Due colpi di pistola indirizzati alle gambe da un sicario che lo ha raggiunto poco distante dal luogo dove suo fratello Vincenzo, un sabato pomeriggio di 35 anni fa è stato ucciso dai sicari del clan Sarno-Aprea. Una strage nella quale persero la vita quattro persone estranee alla logiche camorristiche, ma Vincenzo Meo era uno degli obiettivi designati: era l’autista del boss Andrea Andreotti, entrato in contrasto con i Sarno per il controllo degli affari illeciti. Quella strage fu voluta per ridimensionare le velleità dei rivali e decretare l’egemonia dei Sarno.
Vincenzo Meo si era avvicinato da poco al clan Andreotti, aveva iniziato a lavorare per ‘o cappotto e per questo era finito nel mirino dei killer del clan rivale che miravano a uccidere il maggior numero di affiliati al cartello antagonista.
L’ennesimo pomeriggio di sangue e terrore, quello andato in scena ieri a Ponticelli, che consegna una triste consapevolezza: la camorra si rivela puntualmente incapace di imparare dagli errori del passato.