“Ciao Luciana, mi farebbe molto piacere parlare con te, per so che fai tanto per il nostro paese, anch’io vorrei dare un messaggio ai giovani, perché io ero uno di loro”: questo il testo del messaggio, pervenuto alla redazione del nostro giornale, lo scorso 13 settembre e indirizzato alla direttrice di Napolitan.it, la giornalista Luciana Esposito. Il mittente non aveva bisogno di presentazioni: Giovanni Favarolo, alias Giuan’ ‘o boss, classe 1989, nato e cresciuto nel parco Conocal di Ponticelli e diventato una delle figure apicali del clan D’Amico radicato proprio in quel rione per poi passare dalla parte dello Stato, diventando un collaboratore di giustizia dal 2013.
Nel corso di una lunga telefonata, l’ex ras di Ponticelli aveva fatto riferimento anche alla vicenda che ha portato al suo arresto esattamente un mese dopo, il 13 ottobre del 2023. Favarolo è finito in manette insieme ad altre quattro persone tra le quali spiccano la moglie e il figlio di Luciano Sarno, ex boss di Ponticelli poi diventato collaboratore di giustizia, deceduto nel 2018. Favarolo e i Sarno si sono ritrovati nella stessa cittadina abruzzese, Montescuro, e non si sarebbero limitati a una vita sotto protezione. I parenti dei Sarno erano stati estromessi dal programma in seguito alla morte del capofamiglia e in più circostanze erano finiti nel mirino degli inquirenti per pratiche illecite. Favarolo era in procinto di essere capitalizzato, quindi di ricevere l’ultima trance di denaro per finanziare un “progetto casa” o un “progetto vita”, ovvero, le sovvenzioni previste per acquistare una casa o avviare un’attività commerciale che rappresentano lo step conclusivo del programma di protezione riservato ai collaboratori di giustizia. Un percorso interrotto nel peggiore dei modi: lo scorso ottobre, esattamente un mese dopo il dialogo intercorso con la giornalista Luciana Esposito, per Favarolo scattano le manette.
L’indagine ha preso il via dalla denuncia presentata da un imprenditore di Tortoreto, finito al centro delle attività estorsive del gruppo di malviventi a causa delle sue difficoltà economiche. Si è così potuto ricostruire quanto stava accadendo, con l’imprenditore vittima di ritorsioni, minacce di morte ed estorsioni con il metodo mafioso da quando aveva venduto un Rolex di sua proprietà a un pregiudicato napoletano che secondo quanto riferito nel corso della telefonata intercorsa con la direttrice di Napolitan.it, sarebbe proprio Favarolo, per sua stessa ammissione. L’ex affiliato ai D’Amico aveva fatto riferimento esplicito alla vicenda che poi lo ha tradotto in carcere, asserendo di essere vittima di un malinteso che di lì a poco si sarebbe chiarito, tant’è vero che aveva proposto alla giornalista Luciana Esposito di fissare un appuntamento per rilasciare un’intervista “ufficiale” dal vivo. Ciononostante, quel pomeriggio, a pochi giorni di distanza dalla pubblicazione di un articolo che riaccendeva i riflettori sul rione Conocal, Favarolo si è intrattenuto per diverse ore al telefono con la giornalista e ha concorso a far luce su fatti di camorra più e meno recenti.
Poco dopo l’arresto, la campagna di Favarolo ha contattato la giornalista Luciana Esposito per chiedere il suo aiuto, sostenendo che l’ex ras del Conocal sia vittima di un “complotto” ordito dalla magistratura che non intende consentirgli di incassare la capitalizzazione e che pertanto lo ha “incastrato” e che pertanto avrebbe inscenato il suo coinvolgimento in quella vicenda che lo tiene tuttora recluso. Motivo per il quale, lo stesso Favarolo, tramite la sua compagna, aveva chiesto alla direttrice di Napolitan.it di recarsi al carcere di Sulmona dove è detenuto per andare a ritirare una sentenza e al contempo mobilitarsi per denunciare i soprusi subiti dal servizio di protezione.