Alla vigilia del primo anniversario della morte di Vincenzo Costanzo, il 26enne ras del rione Conocal di Ponticelli ucciso in un agguato di camorra il 5 maggio del 2023, gli abitanti di quello stesso rione rompono gli indugi e riferiscono dettagli importanti che concorrono a ricostruire lo scenario che ha introdotto quel delitto eccellente.
Vincenzo Costanzo, alias ciculill’, figlio del ras Maurizio Costanzo e di Nunzia Scarallo, sorella di Anna ‘a cipolla, moglie del boss Antonio D’Amico, fondatore dell’omonimo clan attualmente detenuto, era pertanto il nipote acquisito del numero uno del clan dei “fraulella”. Uno status che dopo il terremoto di arresti che nel 2016 ha sensibilmente rimaneggiato il clan gli ha garantito la gestione e il controllo degli affari illeciti nel rione Conocal, ma in seguito al matrimonio tra una delle figlie di Antonio D’Amico e Matteo Nocerino – rampollo di un’altra famiglia camorristica di primo ordine di Ponticelli – gli equilibri sono mutati. Per espresso volere dei vertici della cosca, proprio il figlio di Massimo Nocerino detto Patacchella avrebbe ereditato la reggenza del clan D’Amico nel quale è confluito grazie a quel legame sentimentale. Matteo Nocerino è il cugino di Antonio Nocerino detto brodino, figura di spicco dei De Micco, clan in guerra da sempre con i D’Amico. Tra le due fazioni perennemente in contrasto intercorrono diverse ruggini e conti in sospeso che avrebbero giocato un ruolo cruciale nel determinare anche l’evoluzione delle dinamiche che hanno portato a deliberare la morte di Vincenzo Costanzo, in primis l’agguato in cui perse la vita Annunziata D’Amico, sorella dei boss Antonio e Giuseppe, avvenuta il 10 ottobre del 2015 per mano del killer dei De Micco Antonio De Martino. Un delitto eccellente che i D’Amico non hanno mai nascosto di voler vendicare, non appena un uomo nelle cui vene scorre il sangue dei “fraulella” verrà scarcerato. Forse proprio perché allarmati dallo scenario che poteva delinearsi e che rischiava di sfociare in una carneficina in cui avrebbero avuto la peggio affiliati e parenti diretti dei D’Amico, i vertici della cosca hanno voluto che a rappresentare il clan fosse Nocerino junior. Un passaggio del testimone importante e significativo, non solo perché investiva il giovane di una carica pregna di responsabilità, ma anche per il segnale che in tal senso veniva consegnato di riflesso ai De Micco.
Dal suo canto, Vincenzo Costanzo avrebbe mal recepito quel passaggio del testimone che consacrava lo status di un giovane che aveva conquistato il ruolo di reggente per effetto di una parentela acquisita, sposando una delle figlie del boss Tonino fraulella. Un fatto confermato già alla vigilia dell’omicidio di Vincenzo Costanzo dagli abitanti del rione Conocal che avevano ampiamente anticipato alla redazione del nostro giornale quella condanna a morte che pendeva sul capo del 26enne e che di fatto è stata resa esecutiva mentre le strade della città erano gremite da tifosi in festa per la vittoria del terzo scudetto della SscNapoli.
Era diventato una figura scomoda, Vincenzo Costanzo, non solo perchè intralciava e contestava apertamente la leadership del cugino acquisito, ma soprattutto perchè era solito mostrarsi in pubblico visibilmente alterato dalle droghe delle quali abusava e che lo rendevano instabile, inaffidabile. Forte era il sentore che una volta finito in carcere per scontare una pena residua avrebbe potuto cedere al richiamo del pentimento. Uno scenario ampiamente annunciato dagli abitanti del Conocal che già diversi settimane prima dell’agguato in cui il ras perse la vita, annunciarono che di lì a poco Costanzo sarebbe stato ucciso. Forte era il timore che l’agguato potesse avvenire tra le strade del Conocal, tant’è vero che il 26enne aveva adottato un profilo basso, restando rintanato in casa.
Intorno all’omicidio Costanzo si sta delineando un altro scenario che concorre in maniera ancora più nitida a chiarire le circostanze che hanno determinato la morte del 26enne ras del Conocal.
Una volta tornato in libertà, Antonio Nocerino detto brodino, cugino di Matteo Nocerino, stimato essere il reggente del clan D’Amico in quel momento storico, avrebbe preteso una prova di fedeltà da quest’ultimo. In sostanza, “brodino”, figura di spicco del clan De Micco, nonchè uno degli affiliati della prima ora dei cosiddetti “Bodo”, avrebbe preteso dal cugino una dimostrazione concreta di fedeltà alla sua “famiglia di sangue” consegnando ai sicari una figura di spicco del clan dei “fraulella”. In effetti, Matteo Nocerino si allontanò dalla panchina in piazza Volturno dove quella sera i sicari entrarono in azione per colpire Costanzo, pochi minuti prima dell’arrivo del commando.
Tantissimi frame pubblicati in rete mostrano Costanzo in sella a uno scooter, in compagnia di un nutrito gruppo di amici e affiliati, ma quando i killer entrarono in azione, il ras era stato lasciato solo in compagnia della sua fidanzata e di altri due amici, verosimilmente i suoi guardaspalle. Un atteggiamento anomalo, se si pensa che si trovava proprio nella zona controllata dal ras del Vasto con il quale aveva avuto un’accesa disputa nei giorni precedenti e che poi era stata sedata.
Gli esecutori materiali dell’agguato sarebbero legati a un gruppo di fuoco operativo nella zona di Piazza Mercato e riconducibili a un’altra figura di spicco del clan De Micco. Un espediente necessario per allontanare l’ombra dei sospetti dal clan dei “Bodo” che hanno inscenato un copione ingegnoso approfittando di una serie di eventi propizi per intorbidire le acque e depistare le indagini degli inquirenti.
Anche la regia ordita per inscenare l’agguato è in pieno “stile De Micco”: tutt’altro che casuale l’intenzione di entrare in azione mentre tra le strade della città erano in corso i festeggiamenti per la vittoria del terzo tricolore azzurro. In primis perchè Costanzo è stato attirato in una trappola, convinto che proprio la nutrita presenza di civili tra le strade della città non lo avrebbe esposto ad alcun pericolo, per giunta era facile in quel contesto indurre gli inquirenti e l’opinione pubblica a dedurre di trovarsi al cospetto dell’ennesima lite per futili motivi sfociata nel sangue. Un copione identico a quello che lo stesso clan cercò di inscenare quando fu decretata la condanna a morte di Antonio Pipolo, giovane affiliato che fu invitato a trascorrere una serata in discoteca e lì sarebbe stato ucciso nell’ambito di una finta lite. Pipolo fu avvisato da un’amica e riuscì a sottrarsi al quel destino e decise di collaborare con la giustizia dopo aver compiuto un duplice omicidio in cui persero la vita Carlo Esposito, affiliato al suo stesso clan, indicatogli come il killer designato a rendere esecutiva quella condanna a morte, ma anche di Antimo Imperatore, 52enne estraneo alle dinamiche camorristiche che si trovava in quell’abitazione per effettuare alcuni lavori di manutenzione.
L’ipotesi della lite sfociata nel sangue, in seguito alla morte di Vincenzo Costanzo ha però tenuto banco solo per poche ore. Del resto, tra le strade del fortino del clan D’Amico quell’omicidio era stato abbondantemente annunciato. Un evento che non ha colto nessuno di sorpresa, seppure molti elementi avevano concorso a indirizzare i sospetti sul boss del “buvero” con il quale il 26enne aveva avuto un duro scontro nei giorni precedenti all’omicidio.
Qualora il quadro emerso di recente trovasse effettivo riscontro in chiave investigativa, anche “la stesa” avvenuta il giorno successivo sul luogo dell’agguato acquisterebbe un significato ben diverso. All’indomani dell’omicidio di Costanzo, il gruppo del Conocal tornò sul luogo dell’agguato per compiere un’azione intimidatoria. Una raffica di spari, poi il commando si dileguò e lungo la strada fu intercettato da una volante della Polizia di Stato, prese così il via un inseguimento culminato nell’arresto di Gaetano Maranzino, figlio di Italia Scarallo, quindi cugino di Costanzo e di Matteo Nocerino, quel cugino acquisito che potrebbe aver consegnato “ciculill” ai killer per dare a suo cugino “brodino” la dimostrazione di fedeltà che aveva preteso. In quest’ottica, la sua partecipazione a quella “stesa” rappresenterebbe l’ennesimo depistaggio nell’ambito di un omicidio pieno di ombre.