Quel sabato mattina del 10 ottobre del 2015, Annunziata D’Amico, sorella di Antonio e Giuseppe, boss fondatori dell’omonimo clan operante nel rione Conocal di Ponticelli, fu tradita dal cuore di mamma.
Trucidata a 40 anni dai sicari del clan rivale, madre di sei figli, quella mattina fu tradita proprio dal “cuore di mamma”.
Camorrista nel cuore, nell’anima e nelle intenzioni, Annunziata pretese che dopo l’arresto dei suoi fratelli fosse lei ad ereditare le redini del clan di famiglia, mettendo da parte il marito e gli altri uomini di casa. È stata una boss irriverente e austera, capace di conquistare il cuore dei ‘guagliuncielli’ alla sua mercé che facevano a gara per servire “passillona”, questo il soprannome di quella donna-boss che ha saputo fare breccia nel cuore di quei ragazzi, trasformandoli in fedeli gregari della camorra facendo leva sul suo status di “mamma-camorra” e al contempo parimenti abile ad attirare su di sé le acredini e le inimicizie dei rivali che quella mattina, quel sabato mattina, hanno fatto irruzione nella sua roccaforte per mettere fine alla sua vita terrena.
Sapeva che quel “no” rifilato ai De Micco, gli acerrimi rivali contro i quali si ostinava a seguitare a combattere la faida di camorra avviata dai fratelli, poteva costargli caro. Troppo forti, militarizzati, organizzati bene e supportati da una forza economica e militare che non era in grado di osteggiare, ma “passillona” non poteva chinare il capo. Troppo orgogliosa e sfrontata, da vera leader della camorra sbraitava contro i suoi gregari che “o’ Bodo – soprannome degli affiliati al clan De Micco – in casa sua non avrebbe messo nessuna legge”. Ignara di essere intercettata, inconsapevole che sarebbe finita in carcere appena sei mesi dopo quell’agguato in cui ha perso la vita, se solo le forze dell’ordine si fossero materializzate prima di quel sicario che l’ha lasciata esanime ai piedi della sua roccaforte. Se quel blitz che a giugno del 2016 ha decapitato il clan D’Amico fosse scattato prima, “Passillona” sarebbe ancora viva e tra le strade di Ponticelli, molto probabilmente, si leggerebbe uno scenario camorristico differente.
Era consapevole di essere finita nel mirino dei killer del clan rivale e ciononostante, quella mattina, quel sabato mattina, ha fatto sì che prevalesse il cuore di mamma. Doveva recarsi al carcere di Santa Maria Capua Vetere dove era detenuto il suo primogenito, Gennaro, detto Genny “fraulella”. Doveva vederlo, quel figlio recluso in carcere per “portare avanti il cognome”. Uno degli eredi più convinti ed orgogliosi della famiglia/clan D’Amico. Il primo di sei figli, arrestato per reati di droga, la corona del cuore di “mamma-camorra” che doveva andare da lui, sprezzante dei pericoli ai quali si sovraesponeva abbandonando il suo bunker in via al chiaro di luna, nel cuore del rione Conocal. Il suo arsenale, il fortino del clan dei “fraulella”, quello messo in piedi con orgoglio dai suoi fratelli ed ereditato con altrettanta fierezza da lei, una delle prime donne-boss della camorra di Ponticelli che quel giorno diventerà la prima donna-boss giustiziata come un boss dalla camorra di Ponticelli.
Quando rientra nel suo arsenale, dopo aver sostenuto quel colloquio in carcere con suo figlio Gennaro, si intrattiene sotto casa con alcuni conoscenti che le chiedono notizie del suo rampollo. “Mi fumo questa sigaretta e salgo”, dirà ai suoi guardaspalle, mentre li congeda e al contempo chiede un bicchiere d’acqua alla signora che abita nel basso ubicato proprio ai piedi del suo fortino.
Quell’auto a bordo della quale viaggiano i suoi sicari sguscia in un lampo, il killer incappucciato scende dall’auto e inizia a sparare. Colpi precisi e mirati contro un unico bersaglio: Annunziata D’Amico, boss reggente dell’omonimo clan che mentre cerca riparo tra le automobili parcheggiate in zona, inscenando un ultimo e disperato tentativo di sottrarsi alla morte, urla al killer di togliersi il passamontagna per consentirgli di guardare in faccia il suo assassino.
Ha servito la camorra e le sue logiche fino all’ultimo respiro, Annunziata D’Amico. Una donna-boss, la prima giustiziata come un vero boss a Ponticelli.
La notizia del suo omicidio viene accolta con agitazione dagli uomini di casa D’Amico: i fratelli, il marito e Gennaro, quel figlio per il quale si è sovraesposta a quell’atto imprudente che ha pagato con la vita. Per alcuni uomini di casa D’Amico sarà necessario il ricovero in infermeria, altri reagiranno a quell’inaspettata notizia distruggendo la cella in cui sono reclusi.
In quel frangente, facendo leva su quel clamoroso lutto che ha scalfito nel cuore degli uomini di casa una ferita indelebile, nasce una promessa: dovrà essere uno di loro, un uomo nelle cui vene scorre il sangue dei D’Amico a vendicare la morte di Annunziata.
Il destino ha voluto che il primo uomo di casa D’Amico in procinto di riabbracciare la libertà sia Gennaro, il primogenito di Annunziata D’Amico. Quel figlio che ha sentito il bisogno di rivedere, pur consapevole dei rischi ai quali si esponeva abbandonando la sua abitazione. Una leggerezza che ha pagato con la vita, pur di consentire al “cuore di mamma” di prendere il sopravvento.
Dal suo canto, quel figlio, Gennaro, “fraulella” D’Amico nel cuore, nel sangue e nelle intenzioni, sente sicuramente il peso di quell’eredità che grava come un macigno sulle sue spalle e che inevitabilmente lo esorterà a cercare l’agognata vendetta, una volta tornato a Ponticelli.