Malgrado siano trascorsi ormai otto anni dall’omicidio di Annunziata D’Amico, continuano ad emergere retroscena e dettagli tutt’altro che trascurabili in relazione all’agguato ordito per eliminare la donna-boss di Ponticelli, subentrata nella reggenza dell’omonimo clan ai fratelli Antonio e Giuseppe dopo i loro arresti, assassinata il 10 ottobre del 2015 nel “suo” rione, il Parco Conocal di Ponticelli.
La “passillona”, questo il soprannome della prima donna della storia camorristica ponticellese ad essere giustiziata come un boss, pagò con la vita il rifiuto di corrispondere una tangente sulle piazze di droga che gestiva nel Conocal al clan De Micco. Il killer Antonio De Martino entrò in azione sotto casa della donna, di rientro da un colloquio in carcere con il suo primogenito, detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Nunzia D’Amico era consapevole di essere finita nel mirino dei rivali, non abbandonava mai il suo appartamento in via al chiaro di luna, quando aveva bisogno di qualcosa interpellava l’esercito di giovanissimi al suo soldo, disposti a tutto pur di entrare nelle sue grazie e così facevano a gara per stabilire chi dovesse andare a comprargli le sigarette o impugnare un’arma per portare “un’imbasciata” a un soggetto da minacciare o intimorire. Quel sabato mattina, però, ha vinto il cuore di mamma: “passillona” ha abbandonato il suo bunker per far visita al suo primogenito detenuto. Una leggerezza che si è rivelata fatale. Di ritorno dal carcere, si è intrattenuta sotto casa a chiacchierare con alcuni conoscenti che gli avevano chiesto notizie del figlio: “fumo una sigaretta e salgo”, disse congedando i guardaspalle, mentre chiedeva a una delle sue interlocutrici di andarle a prendere un bicchiere d’acqua. Il killer si è materializzato in un lampo: “levati questo coso da faccia, fatti vedere”, urlava la donna-boss al suo sicario, intimandogli di mostrare il suo volto, sfilando il passamontagna, mentre cercava di trovare riparo tra le auto in sosta per sottrarsi a quella pioggia di piombo che, invece, non gli ha lasciato scampo.
E’ morta da vero boss, Annunziata D’Amico e ha servito il credo camorristico fino all’ultimo respiro.
La notizia del suo omicidio ha suscitato reazioni incontenibili nelle carceri in cui erano reclusi gli uomini del clan: i fratelli, il marito, il figlio. Per alcuni si è reso necessario il ricovero in infermeria.
In quegli anni, tra le strade del quartiere, imperversava la faida tra i due clan: i “bodo” e i “fraulella”. Mettendo la firma su quel delitto eccellente i De Micco consacrarono la loro egemonia, mettendo definitivamente all’angolo i rivali. Uccidendo Annunziata D’Amico, I De Micco hanno messo fine alla guerra e hanno conquistato il controllo del territorio, annullando definitivamente i rivali, per giunta infliggendogli una ferita insanabile.
Un omicidio che ha decretato un punto di non ritorno perentorio nella storia camorristica di Ponticelli.
Non a caso, quella sera stessa, uno dei fedelissimi dei De Micco, si recò nel campo rom di Secondigliano per inscenare un lungo e fragoroso spettacolo pirotecnico, ideato per appagare una necessità ben precisa: festeggiare la fine della faida, la consacrazione del clan e la morte della “passillona” con gli affiliati detenuti nel vicino carcere di Secondigliano. Da quella postazione, le figure di spicco del clan De Micco detenute potevano assistere a quella pioggia di fuochi d’artificio e gioire del messaggio che colorava il cielo che costeggiava l’istituto penitenziario nel quale erano recluse. Uno spettacolo pirotecnico voluto per festeggiare e consacrare l’egemonia dei De Micco ben oltre i confini del quartiere Ponticelli, a due passi dagli affiliati detenuti, affinché anche loro potessero condividere la gioia di quella importante conquista, maturata mettendo la firma su un delitto eccellente.