Nelle ordinanze di custodia cautelare più recenti sono sempre più frequenti i riferimenti al business della compravendita delle case popolari, soprattutto per merito delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia che nei mesi precedenti avrebbero già fornito alla magistratura anche informazioni importanti in merito al sistema radicato a Ponticelli e che vede i clan attivi sul territorio agire in concerto con un consigliere della VI Municipalità di Napoli.
Un sistema ricostruito grazie ad alcuni documenti pervenuti alla redazione del nostro giornale e che troverebbe ampio riscontro nelle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia che avrebbero puntato il dito contro Vincenzo Sollazzo, membro della coalizione che sostiene il sindaco Gaetano Manfredi, a capo di un Caf nel rione Conocal di Ponticelli che avrebbe lavorato a dozzine di pratiche irregolari agevolando l’intestazione degli alloggi popolari da parte degli occupanti abusivi, a discapito dei legittimi assegnatari che si sono visti perfino cancellare le residenze.
Sollazzo non si sarebbe limitato ad agevolare la compravendita degli alloggi popolari, gestita dai D’Amico nel rione in cui è ubicato il suo Caf e dai De Martino, nel rione Fiat e nel rione Incis, la zona in cui vive il consigliere, ma avrebbe messo la firma anche su altre pratiche irregolari, tra le quali spiccano quelle che hanno consentito al boss Francesco De Martino di vedersi riconoscere la pensione di invalidità civile del 100%, pari a 700 euro mensili. Malgrado il ras non si sia mai sottoposto a visita medica è stato dichiarato sordomuto, nonostante il web sia pieno di video, notizie e articoli di giornale che dimostrano che il padre dei cosiddetti “XX” di Ponticelli goda di ottima salute.
Uno scenario che alcuni collaboratori avrebbero prospettato alla magistratura all’incirca un anno fa, quando nel rione Conocal dilagavano le occupazioni abusive e decine di famiglie hanno raccontato alla redazione del nostro giornale il calvario vissuto, vedendosi negare dalla camorra il diritto alla casa.
Un business redditizio per entrambe le parti e che frutta alla camorra un duplice guadagno: quello che scaturisce dalla vendita dell’abitazione al nuovo proprietario, unitamente alla percentuale sulla cifra sborsata per “mettere a posto” i documenti. Una pratica che costa cinquemila euro, un bottino che i clan provvedono a spartire al 50% con il consigliere municipale che lavora materialmente per “cancellare” le residenze dei legittimi assegnatari per favorire l’insediamento degli occupanti abusivi.