La storia di Giovanni Festa, ristoratore napoletano, ormai ex titolare della braceria “Amore Carnale” di Volla, l’estate scorsa, ha conquistato le pagine di cronaca di tutta Italia.
La denuncia sporta contro i suoi estorsori ha dato il via ad un’indagine che ha consentito di documentare l’operatività dei Mazzarella-Aprea-De Micco-De Martino nell’area orientale di Napoli. Un cartello camorristico che ha attuato un’azione sinergica per affermare la propria egemonia sul territorio. Uno controllo acquisito soprattutto facendo leva sulle pratiche estorsive violente.
Un input investigativo, quello fornito dalla denuncia di Giovanni, che legittima gli inquirenti ad accelerare i tempi, non solo per evitare che l’organizzazione possa portare a compimento le minacce di morte indirizzate al ristoratore, ma anche per ostruire l’espansione del cartello camorristico sul territorio. La denuncia di Giovanni, in sostanza, si è rivelata determinante per tradurre in carcere alcune figure apicali del cartello camorristico, riconducibili ai clan De Micco-De Martino di Ponticelli, Aprea di Barra e Mazzarella di San Giovanni a Teduccio.
Tutto ha avuto inizio la domenica di Pasqua del 2023 quando, dopo aver chiuso il locale, Giovanni ritorna a casa, nel quartiere Barra e incontra suo cugino Christian Alberto: “Ha detto Giovanni vallo a trovare… devi fargli un regalo da 500 euro per Pasqua”, questa la frase pronunciata dal giovane affiliato agli Aprea di Barra che fa riferimento a Giovanni Prisco, figlio di Lena Aprea. Il mancato regalo al rampollo del clan Aprea, poco dopo, si tramuta in una richiesta estorsiva ben più onerosa: “10mila euro da portare a Ponticelli”.
Un’estorsione praticata per conto di Antonio Nocerino alias “brodino”, figura di spicco del clan De Micco, imparentato con Aldo Sartori, a sua volta legato ai Mazzarella di San Giovanni a Teduccio, nonché amico d’infanzia di Giovanni. Motivo per il quale il ristoratore si rivolge a Sartori, sperando che il suo intervento possa concorrere a chiudere la pratica senza costringerlo a sborsare denaro.
Sartori gli riferisce che “quelli di Ponticelli avevano preso una ripicca” e che tutto era partito da Giovanni Prisco e che quella maxi-estorsione rappresentava, pertanto, una sorta di ritorsione per essersi rifiutato di corrispondere “il regalo di Pasqua” al giovane esponente del clan Aprea di Barra. La mediazione di Sartori altro non farà che regalare un’utopia a Giovanni, inducendolo a credere che la richiesta estorsiva sarebbe stata ridotta a 5mila euro, ma ben presto scopre che non è così.
Una sequenza di eventi violenti avvenuti tra aprile e maggio del 2023 che Giovanni ha messo nero su bianco, rivolgendosi ai carabinieri della tenenza di Cercola.
Mentre gli affiliati al clan De Micco-De Martino indirizzano direttamente minacce e richieste estorsive a Giovanni recandosi al locale, i gregari del clan Aprea si servono della mediazione del padre di Giovanni, mossi dalla certezza che avrebbe dissuaso il figlio dall’interpellare alle forze dell’ordine. Giovanni è il figlio di Carmine Festa alias ‘o russ’, in passato legato al clan Alberto di Barra, arrestato anche per reati associativi. Lo stesso Giovanni, in sede di denuncia, non nasconde i suoi precedenti scaturiti da piccoli reati commessi in passato.
Un passato che padre e figlio si sono lasciati alle spalle. Nel 2012, a Carmine Festa viene riconosciuta la non delinquenza abituale. Dopo aver cercato una mediazione, chiedendo di ottenere un rateizzo dei pagamenti che però il clan non accorda a suo figlio, Carmine Festa si rivolge alle forze dell’ordine, rinnegando la promessa d’omertà che ha onorato per tutta la vita, pur di tutelare suo figlio, in quanto fortemente n apprensione per la sua incolumità.
I ponticellari facevano sul serio e non erano intenzionati a mollare la presa fino a quando non avrebbero ottenuto il denaro che rivendicavano e no si sarebbero fatti scrupoli ad intraprendere pratiche sempre più violente. Di questo, padre e figlio, erano ben consapevoli.
Giovanni aveva acquistato il ristorante “Amore Carnale” di Volla, insieme ad un socio, nel settembre del 2022, dalla famiglia Veneruso, il clan egemone nella zona.
A gennaio del 2023, Giovanni acquistò l’intera amministrazione della società, inconsapevole degli eventi che di lì a poco si sarebbero scatenati e che avrebbero messo fine alla sua carriera di ristoratore.
Nella denuncia, Giovanni spiega che lui e il suo socio hanno acquisito la gestione del ristorante al prezzo di 75mila euro, sottoscrivendo cambiali da 2mila euro con scadenza mensile in favore dei Veneruso. Un debito che in quel momento Giovanni non aveva problemi a saldare progressivamente, gli affari del locale andavano a gonfie vele, la braceria con 70 coperti interni, 20 esterni, era una delle più apprezzate della zona. Fino a quando la vicenda che ha portato all’arresto dei suoi estorsori non ha conquistato le cronache nazionali: il nome del locale sbattuto in prima pagina, associato alle minacce subite da Giovanni, hanno seminato il panico tra i clienti. Il locale, tutto ad un tratto, ha smesso di incassare. I clienti temevano di rischiare la vita, qualora un commando avesse fatto irruzione nel ristorante per inscenare una vendetta e così “Amore Carnale”, da braceria gettonata e apprezzata, si è trasformato in un locale-fantasma, costringendo Giovanni a prendere una decisione drastica: cedere l’attività. La cattiva pubblicità sortita dalla ribalta conquistata dal locale sulle pagine di cronaca ha dissuaso potenziali acquirenti dal farsi avanti e Giovanni è stato costretto a lasciare il locale ai Veneruso, accollandosi i debiti annessi.
“Mi giudicano per la scelta che ho fatto. – racconta Giovanni – Nel quartiere vengo definito “un infame” perché non ho pagato e ho denunciato. Loro delinquono e poi non vogliono farsi la galera. E quello sbagliato sarei io?
Prima ero proprietario di un locale, oggi sono un semplice dipendente con tanti debiti da pagare, ma sono felice, perché ho accanto una famiglia meravigliosa, una moglie e una figlia stupende.
Ai miei estorsori vorrei chiedere: cos’è la felicità per voi? Essere camorrista?
Per me è vivere liberamente insieme alla mia famiglia.”
Una vicenda che ha lasciato degli strascichi enormi nella vita di Giovanni, seppure la sua denuncia ha fornito un contributo decisivo, consentendo di depauperare l’organizzazione di diverse pedine cruciali.
“Convivo con l’ansia quando cammino per strada, ho cambiato due scuole a mia figlia per stare tranquillo, ma so che ho fatto la cosa giusta denunciando. Non potevo continuare a vivere dentro quell’incubo.
Non posso dire di non sentirmi abbandonato, – aggiunge Giovanni – non solo dalle istituzioni. Anche dalla gente comune mi sarei aspettato più solidarietà. Forse sono io che giudico la realtà con occhi prevenuti, ma ho l’impressione di essere guardato con distacco e imbarazzo e questo mi ha deluso tanto.”
Se potessi tornare indietro, denunceresti ancora i tuoi estorsori?
“Il mio più grande rammarico, in tutta questa vicenda, resta solo quello di non essere riuscito a cedere l’attività. Con i soldi che avrei incassato potevo saldare i miei debiti, lasciarmi tutto alle spalle e iniziare una nuova vita. Invece, i giornali che hanno pubblicato il mio nome e cognome e quello del locale mi hanno letteralmente rovinato.”
Cosa vuoi dire a quei giornalisti che non ti hanno tutelato?
“Desidero dirgli solo una cosa: ricordate che la penna che impugnate è un’arma potente, anche più pericolosa di una pistola, perché anche voi potete uccidere una persona. Proprio com’è successo a me. Utilizzate il vostro potere per rendere un servizio utile ai cittadini. Inoltre, le vittime di qualsiasi tipo vanno sempre tutelate, non danneggiate. Ricordatelo. Spero che quei giornalisti faranno tesoro di questa esperienza, almeno il mio sacrificio servirà ad evitare ad altri quello che ho vissuto io.”