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La testimonianza di un ex detenuto: ecco come funziona il business dei cellulari consegnati in carcere con i droni

Luciana Esposito di Luciana Esposito
20 Gennaio, 2024
in Cronaca, In evidenza
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La testimonianza di un ex detenuto: ecco come funziona il business dei cellulari consegnati in carcere con i droni
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“Non si contano più i rinvenimenti e i sequestri di questi piccoli apparecchi. Vanno adottate soluzioni drastiche come la schermatura delle sezioni detentive, delle celle e degli spazi nei quali sono presenti detenuti, all’uso dei telefoni cellulari e degli smartphone.”. E’ l’appello lanciato oggi, sabato 20 gennaio, da Donato Capece, segretario generale del Sappe – sindacato autonomo di polizia penitenziaria – contestualmente all’ennesimo sequestro di droga e telefoni cellulari avvenuto nel carcere di Genova.

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Un’emergenza che riguarda tutti gli istituti penitenziari italiani, da Nord a Sud, quella correlata alla dilagante presenza di telefoni cellulari tra le mura carcerarie.

I numeri parlano di un fenomeno in crescita: nei primi 9 mesi del 2020 sono stati 1761 gli apparecchi rinvenuti nelle carceri italiane, requisiti all’interno o bloccati prima del loro ingresso.
Nello stesso periodo del 2019 erano stati 1206 mentre nel 2018 erano stati sequestrati 394 apparecchi. I dati relativi al carcere napoletano di Poggioreale parlano di centinaia di telefoni sequestrati ogni anno.
La legge attualmente vigente prevede che ai detenuti è concessa una telefonata a settimana della durata massima di dieci minuti; due al mese se si è al 41 bis.

Le norme prevedono una pena da 1 a 4 anni per chi introduce o detiene telefoni cellulari o dispositivi mobili di comunicazione all’interno di un istituto penitenziario. Questo, tuttavia, non sembra inibire o dissuadere i detenuti dal seguitare a procurarsi apparecchi che possano consentirgli di comunicare con il mondo esterno.

Un privilegio ostentato perfino sui social network dove dilagano i video girati in carcere dai detenuti che senza alcuna remora pubblicano soprattutto su TikTok e Instagram – i social di maggiore tendenza tra i giovani – i filmati che mostrano stralci di vita quotidiana. Cellulari utilizzati per filmare i brindisi con tanto di bottiglie di spumante in vetro, seppure i contenitori in vetro siano assolutamente vietati in cella. Ai detenuti è concesso possedere spazzolini da denti, pettini, spazzole, libri, ma non prodotti contenenti gas infiammabili come lacche, deodoranti spray e oggetti simili.


Un trend che ha valicato i confini nazionali: ha collezionato migliaia di visualizzazioni il video pubblicato su TikTok e girato da un italiano detenuto in un carcere francese per rilanciare la necessità di ripristinare una condizione più decorosa all’interno degli istituti penitenziari nostrani.

Sulla stessa lunghezza d’onda i filmati che documentano le rivolte dei detenuti in carcere, durante la pratica della cosiddetta “battitura” o mentre sono seduti intorno a un tavolo, tutti intenti a smanettare con uno smartphone.

Tra i video attualmente più in voga spiccano quelli che ritraggono i detenuti mentre cucinano portate succulente o mentre fumano uno spinello, confermando la di per sé acclarata presenza di droga nelle carceri italiane.

Di recente, su TikTok sono apparsi alcuni filmati che mostrano come questi microcellulari vengano introdotti in carcere nascosti in una crema per le mani o in una “finta” bottiglia di Coca-Cola.

L’escamotage più utilizzato per introdurre telefoni in carcere è il drone: lo confermano svariate le operazioni eseguite dalle forze dell’ordine, ma anche la testimonianza di un ex detenuto che ha raccontato alla redazione di Napolitan.it il business che ruota intorno al connubio “telefoni e carcere”.

“All’interno delle carceri ci sono dei detenuti, nella maggior parte dei casi legati a organizzazioni criminali, che gestiscono il business dei telefoni. Basta chiedere a loro e provvedono a organizzare tutto, pagando dai 500 euro ai 1000 euro. Ho girato diversi istituti penitenziari, le tariffe sono sempre diverse. Il drone raggiunge sempre la stessa postazione, quindi la finestra di una cella “tranquilla” e da lì i telefoni vengono smistati ai vari detenuti. Nella maggior parte dei casi, i soldi vengono versati dai familiari del detenuto che richiede il cellulare a persone indicate dall’organizzazione. Dopo l’ok che conferma che il denaro è stato incassato, si consegnano i telefoni. Se ci fate caso, più di una volta è capitato che le forze dell’ordine hanno intercettato questi droni e li hanno sequestrati mentre stavano consegnando più telefoni cellulari. A volte anche droga. L’organizzazione caricare il più possibile i droni di telefoni e altro materiale illecito da introdurre in carcere e di ridurre i viaggi, in modo da ridurre anche i rischi.”

Un modus operandi che effettivamente trova ampio riscontro nella realtà e che ben giustifica la massiccia e dilagante presenza di telefoni cellulari negli istituti penitenziari.

Un privilegio del quale possono beneficiare anche quei detenuti che non dispongono di un apparecchio personale, basta pagare: “i detenuti che non hanno un telefono, ma che ogni tanto desiderano mettersi in contatto con amici o familiari, possono utilizzare questi apparecchi introdotti illegalmente, ovviamente pagando una cospicua somma per fare una telefonata o una videochiamata. Il prezzo per questo tipo di “servizio” varia a seconda dei casi. Considerando che il detenuto che presta il cellulare si espone comunque a un pericolo, qualora il telefono venga scoperto e quindi sequestrato. In genere, il prezzo di una singola telefonata varia dai 100 ai 300 euro.” Una tariffa decisamente salata, ma direttamente proporzionale ai rischi correlati all’attività illecita, in sostanza.

Un ex detenuto che si congeda rilanciando l’appello dei sindacati di polizia giudiziaria, facendo ugualmente leva sulla necessità di conferire decoro e credibilità alla legge italiana all’interno degli istituti penitenziari: “ormai non si può più definire detenzione. Oggigiorno in carcere la situazione è fuori controllo. Per i detenuti che possono spendere soldi senza preoccuparsi delle conseguenze, la galera è un divertimento, mentre a patire le pene della carcerazione sono solo i poveracci che molte volte finiscono in cella per reati “stupidi”, concedetemi il termine. E’ sempre stato così, ma negli ultimi anni anche il carcere il divario tra ricco e povero sta crescendo a dismisura.
Piccoli spacciatori, ladruncoli, gente che vive male già fuori e che molto spesso finisce in galera per aver commesso reati per esasperazione o per dare da mangiare ai figli o per sopravvivere, mentre l’unico disagio per i boss, i camorristi e i detenuti eccellenti è quello di non potersi sedere a tavola con figli, amici e parenti con i quali comunque sono in contatto costantemente. E questa è una grande ingiustizia. Una delle tante che avvengono quotidianamente nel nostro Paese, dentro e fuori dal carcere.”

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