Ciro Niglio, ex figura di spicco della camorra barrese, malgrado abbia terminato di recente il percorso di collaborazione con la giustizia, ha ancora tanto da raccontare. In particolare, in riferimento all’omicidio del 18enne Francesco Pio Maimone, il pizzaiolo di Pianura ucciso a Mergellina lo scorso marzo nel corso di una lite tra due bande di giovani alla quale era completamente estraneo. Si trovava poco istante, seduto al tavolino di uno dei tanti chalet del lungomare Caracciolo di Napoli in compagnia degli amici quando il 19enne Francesco Pio Valda impugnò una pistola e sparò diversi colpi d’arma da fuoco, uno dei quali raggiunse il suo omonimo senza lasciargli scampo.
Ciro Niglio conosce bene Francesco Pio Valda: è il figlio di suo cugino Ciro, ucciso in un agguato di camorra nell’agosto del 2013. Un cugino che per lui era come un fratello, più di un fratello.
Entrambi sono infatti cresciuti tra le file del clan Cuccaro, al quale la loro famiglia non era semplicemente affiliata, ma letteralmente devota, fino a costituire un unico clan.
“Ho ‘debuttato’, se così si può dire, nel contesto camorristico dedicandomi allo spaccio. – racconta Ciro Niglio – Il primo “reato vero” è stato un concorso in omicidio con Andrea Andolfi, ero un ragazzino, ho preparato i motorini utilizzati dai sicari.”.
La sua gavetta camorristica è un iter che da tempo immemore si ripete nei contesti in cui imperversano le leggi della camorra e che vede giovani, giovanissimi entrare e uscire dal carcere inizialmente per reati minori, fino a quando “non ci scappa li morto”: “Mi hanno arrestato per spaccio, poi sono stato scarcerato nel 2011, poco dopo l’omicidio di mio cugino Ciro Abrunzo che portò alla nostra scissione dai Cuccaro, perchè avevano appoggiato gente di Secondigliano nel delitto. La nostra vendetta si è tradotta nell’omicidio Bottiglieri al quale ho partecipato come esecutore materiale. Sono stato scarcerato poco dopo, ma complici arresti e omicidi, ero uno dei pochi a piede libero e quindi mi sono ritrovato a ricoprire un ruolo di primo ordine nel clan Valda-Amodio-Abrunzo, nato proprio dopo la rottura con i Cuccaro. Ho sparato ad Angelo Cuccaro, mi occupavo della gestione delle piazze di spaccio e sono stato tra i protagonisti della sanguinaria faida che ha segnato l’anno 2014.”.
Un destino che sembra già scritto, quello di Ciro Niglio. Poi, il clamoroso colpo di scena: il pentimento.
“Mi sono reso conto che la mia non era vita, ho visto troppo sangue, troppe cose brutte. Gli omicidi dei miei cugini, i lunghi periodi di detenzione, mi hanno dato la giusta motivazione per voltare pagina. Ho capito che se avessi continuato per quella strada o sarei morto ucciso anche io o avrei trascorso gran parte della mia vita in carcere e quindi ho deciso di cambiare vita, perché quella non si poteva definire vita. Ho deciso di ripartire da zero, come se fossi un bambino piccolo. E ci sono riuscito. Inizialmente è stata dura. Mi spaventava l’idea di pregiudizi, ritorsioni o vendette. Poi la strada si è fatta in discesa. Oggi sono cambiato e non m’importa di essere marchiato come “pentito”. Lo sono, ma ho saldato il mio debito con la giustizia, com’è giusto che sia e oggi sono un uomo libero.”
Da collaboratore di giustizia ha contribuito all’arresto di centinaia di persone, tra le quali “gente di Secondigliano”, 43 affiliati al clan Cuccaro, 7 gregari dei De Micco. Niglio ha vissuto l’ascesa di Marco De Micco, quando muoveva i primi passi nel contesto camorristico dell’ala orientale di Napoli gestendo una piazza di droga per conto dei Cuccaro di Barra: “quella attuale non può più definirsi malavita, – afferma Niglio – sono guerre tra gang, hanno superato tutti i limiti. Lo dimostra, tra le tante cose, l’omicidio di Carmine D’Onofrio (figlio naturale del boss Giuseppe De Luca Bossa): Marco De Micco ordinando l’omicidio di un 23enne incensurato ha dimostrato di non essere un boss. Uno che uccide un ragazzo in quel modo, come lui ha ucciso il figlio Peppino, rinnega “i valori” ai quali si ispiravano i vecchi camorristi.”
Un percorso che Niglio ha esteso ben oltre il periodo vissuto da collaboratore di giustizia. Non appena è uscito dal programma, da uomo libero, ha chiesto di incontrare la direttrice di Napolitan.it, la giornalista Luciana Esposito, per rivelare un retroscena importante in merito all’omicidio di Mergellina compiuto da suo nipote Francesco Pio Valda. Niglio non ha dubbi in merito al fatto che sia stato lui ad uccidere il 19enne di Pianura: è stato suo nipote a confessarlo.
“Francesco Pio Valda era un bambino quando sono andato via da Napoli. – racconta Niglio – Abbiamo sofferto tanto per la morte del padre, io ero molto legato a mio cugino Ciro. Non so come abbia potuto fare una cosa simile. Era un ragazzo normale, molto chiuso caratterialmente. Il padre era un tossicodipendente con problemi di alcolismo. Come hanno raccontato molti giornali, accoltellò la madre mentre era in gravidanza, Pio si è salvato per miracolo. È cresciuto con il nonno Luigi, i genitori non ci sono mai stati. Faceva una vita regolare, giocava a calcio, aveva sì un carattere chiuso, ma a maggior ragione nessuno mai avrebbe immaginato una cosa simile. Da altri familiari ho appreso che lui e il fratello gestivano una piazza di droga a Barra, poi sono stati arrestati. Quando è uscito dalla casa-famiglia era cambiato. Potevo immaginare che provenendo da quel contesto potesse seguire le orme dei familiari per vendicare la morte del padre, come abbiamo fatto io e i miei cugini. Che potesse uccidere una vittima innocente non me lo sarei mai aspettato e in questo caso non posso che disconoscerlo come nipote. Ha commesso un omicidio che ha indignato tutta Napoli.”
Ai miei tempi, la famiglia Cuccaro ci aveva impartito altri valori che oggi tra gli esponenti della malavita non valgono più niente. Anche noi da ragazzi andavano a Mergellina, ma mai armati. E questo secondo me sta incidendo. Un ragazzino che spara tra la folla e uccide un altro ragazzino è una cosa grave che non può restare impunita.”
In merito all’omicidio di Francesco Pio Maimone, Ciro Niglio, lo zio di Francesco Pio Valda, riferisce dei fatti molto importanti: “l’ultima volta che l’ho sentito è stato su Instagram, poco prima dell’arresto, mi telefonava con una certa insistenza. Un fatto che mi meravigliò parecchio perché ho chiuso i rapporti con la famiglia quando mi sono pentito. Guardavo le storie e i contenuti che pubblicava sui social, ma da quando ero andato via da Napoli non ci parlavamo più. Rifiutai la prima chiamata, quando ho visto che insisteva ho risposto: “ho un problema, mi serve un avvocato, come mi puoi aiutare?”, mi disse.
“Perché chiami me?”, è stata la prima domanda che gli ho fatto, anche perché ero all’oscuro di quello che era accaduto la sera prima a Mergellina.
“Ho fatto un guaio… il fatto di Mergellina…”
In sostanza, Francesco Pio Valda, contatta lo zio collaboratore di giustizia e gli confessa di essere l’autore dell’omicidio avvenuto la sera prima a Mergellina.
“Ho staccato la chiamata, perché pensavo che avesse rubato un motorino o qualcosa di simile. Sui social ho visto che frequentava i figli degli Abrunzo e degli Aprea e che pubblicava contenuti che inneggiavano alla camorra, ma mai avrei immaginato quello che mi ha confessato. Non guardo molto i giornali, ho preferito distaccarmi completamente da quella vita e evito di sapere anche quello che accade, per questo motivo non ero nemmeno a conoscenza di cosa fosse accaduto a Mergellina la sera prima. Non appena ho fatto una ricerca su internet e ho appreso dell’omicidio del 18enne di Pianura, l’ho richiamato. Gli ho consigliato di andarsi a costituire perché assumersi le sue responsabilità davanti alla legge era l’unica cosa da fare. E lui ha manifestato la volontà di collaborare con la giustizia. Mi ha chiesto informazioni sulla procedura, voleva sapere cosa doveva fare per collaborare. Da come avevo capito si voleva pentire perché si è reso conto della gravità di quello che aveva fatto e si è sentito sporco. Ha aggiunto di “aver fatto un sacco di guai per conto del clan”. Sicuramente, dopo quella conversazione con me, la famiglia lo ha convinto a cambiare idea, inducendolo a credere che verrà assolto. Questo spiega anche perché sui social sono apparsi quei video che lo esaltavano dopo l’arresto. Diversamente non mi spiego come sia possibile che un ragazzo che manifesta la volontà di collaborare, arrestato dopo un’ora da quella conversazione abbia cambiato completamente versione e atteggiamento quando si è trovato davanti al magistrato. Ancora ora si dichiara innocente, ma a me ha confessato di aver ucciso Francesco Pio Maimone. Credo che quella sera, insieme a quel gruppo di ragazzi, si trovasse lì o perché gestivano qualche business illecito nella zona o era in corso una faida tra ragazzini nella quale ha avuto la peggio un innocente.”.
Lo zio di Valda rivela un altro particolare importante che riguarda la pistola che probabilmente Francesco Pio ha utilizzato quella sera: “nel 2014 ho avuto in regalo dalla moglie di Valda, nonché madre di Francesco Pio, una pistola di suo marito di Ciro Valda. Mio cugino era molto legato a me e per questo motivo quella pistola finì nelle mie mani: volevano che la utilizzassi per uccidere uno dei Cuccaro per vendicare la sua morte. La nascosi in un condominio, un giorno la rubò Luigi, il fratello di Pio, era un 357 che non è mai stata ritrovata. Quella pistola doveva essere utilizzata solo per uccidere un Cuccaro. A me resta il dubbio che sia quella utilizzata da Pio quella sera. So che è stata utilizzata solo una volta in una sparatoria nella macchina di fortuna Abrunzo, durante una discussione con Luigi Valda, il quale dichiarò di averla utilizzata per sparare contro quell’auto e poi l’ha buttata. Non credo che si sia disfatto di un ricordo così importante del padre, per giunta senza essersene servito per compiere un omicidio. Non avrebbe senso.”.
Cosa vuoi dire ai genitori di Francesco Pio Maimone?
“Li incontrerei volentieri, anche se sui social tutta la famiglia Valda è stata attaccata. Siamo passati tutti come una famiglia di delinquenti e criminali, ma non è proprio così. Credo che lo sto dimostrando rilasciando questa intervista. Per come la penso io, mio nipote dovrebbe pagare il doppio per aver ucciso un innocente.”.
Fatica a controllare le emozioni Ciro Niglio, quando pensa ai genitori di un ragazzo di 18 anni, ucciso senza motivo da suo nipote: “È difficile trovare le parole da dire…non esistono parole, non esistono spiegazioni. Non esistono giustificazioni. È una cosa imperdonabile. A loro dico: affidatevi alla giustizia, augurandoci che Pio Valda ottenga il massimo della pena. Non può essere condannato a 10 o 15 anni: merita l’ergastolo. La giustizia deve tenere conto che ha ucciso un ragazzo innocente senza motivo. Spero che quello di Francesco Pio Maimone non sia uno dei tanti casi di giovani innocenti morti ammazzati a Napoli che non hanno avuto giustizia. Purtroppo, Pio non è stato il primo e non sarà l’ultimo, la morte di GiòGiò lo conferma.”.
Che cosa ti ha spinto a rilasciare questa intervista?
“Quando ero in quel contesto non ho mai tradito un amico, sono stato interrogato in questura e ho preferito farmi il carcere. Oggi mi sono affidato alla giustizia, ma non ho perso quella mentalità: non tradisco la giustizia e anche se il mio percorso di collaborazione è terminato, mi sono sentito in dovere di dare il mio contributo e riferire quello che so anche su questa triste vicenda, anche se si tratta di mio nipote. Anche se i miei familiari mi accuseranno di averli traditi ancora una volta, non m’importa. So che uomo sono oggi e che uomo continuerò ad essere domani. Ho fatto la mia scelta e non torno indietro.”.
Cosa vorresti dire a tuo nipote, Francesco Pio Valda?
“Gli consiglierei di ritornare sui suoi passi con la consapevolezza che la scelta di diventare un collaboratore non deve essere vissuta come la scorciatoia di cui servirsi per evitare il carcere, perché non è così.
Nel 2014, in riferimento al tentato omicidio di Angelo Cuccaro, al dottor Vincenzo D’Onofrio ho chiesto di essere severamente condannato perché in quella circostanza ho ferito accidentalmente una ragazza affacciata al balcone. Non mi ero neanche accorto di averle sparato. I proiettili sono rimbalzati e hanno colpito una ragazza innocente. È l’unica cosa che mi pesa ancora oggi. Solo Dio mi può castigare. Anche se mi sono pentito, quella cosa non me la perdono. È pesante fare i conti con il ferimento di una persona innocente, non riesco ad immaginare come mi sentirei se fosse morta. Tuttora non mi spiego come sia successo, eravamo lucidi, di proposito abbiamo agito in un orario in cui in strada non c’erano né donne né bambini. Alle tre del pomeriggio pensavamo di poter sparare con un kalashnikov senza preoccuparci dei civili; invece, quella ragazza era andata a far visita a un’amica, era affacciata al balcone e poteva perdere la vita.”.
Come te lo spieghi che i rampolli dei clan storici di Barra hanno cancellato dai social le foto insieme a Francesco Pio Valda?
“Manuel Aprea ha tradito mio nipote nel momento in cui ha cancellato quelle foto. Se è stato suo amico, non doveva rinnegare quell’amicizia cancellando le foto insieme a lui, soprattutto se era estraneo a quella vicenda. Penso che abbia prevalso la vergogna. I ragazzi che provengono dai clan storici sanno bene che quello che l’omicidio di un innocente non è un punto d’onore. Non si sono voluti sporcare la faccia, hanno preso le distanze anche per cercare di uscirne puliti. Oggi la famiglia Aprea comanda Barra e ricopre un ruolo importante. In passato, i figli, li hanno sempre tenuti fuori dal contesto camorristico, li mandavano a lavorare, non volevano che facessero la loro stessa vita. La necessità dettata dagli arresti ha cambiato anche la mentalità dei clan. Adesso spetta a loro “portare il cognome avanti”, come si suol dire nel gergo camorristico. Quella è una catena che non si spezzerà mai.”.