Ciro De Cesare aveva 28 anni quando finì in manette, insieme ad altre 16 persone, accusate a vario titolo di traffico internazionale di droga. Correva l’anno 2018 e la notizia destò forte scalpore per quanto emerse dalle indagini che decapitarono il cartello: 28 persone indagate, 7 a piede libero e per le quali il gip rigettò l’ordinanza cautelare, 17 persone finite in manette tra capi dell’organizzazione e corrieri che portavano in Italia fiumi di droga provenienti dal Sudamerica e dall’Olanda. Soggetti legati ai clan Rinaldi e Formicola di San Giovanni a Teduccio, ai De Micco di Ponticelli e agli Amato-Pagano di Melito. Difatti, dalle indagini è emersa un’alleanza tra i clan di Napoli Nord e quelli di Napoli est per assicurarsi la migliore merce con la quale rifornire le piazze di droga.
De Cesare, originario di Pollena Trocchia e cresciuto in una famiglia estranea alle dinamiche malavitose, veniva indicato come il «collaboratore diretto dei promotori, gestendo la contabilità dell’organizzazione» e per questo condannato nel 2020 a 11 anni di reclusione.
La sua è una storia a lieto fine, determinante in tal senso il percorso intrapreso in carcere e che sottolinea come la riabilitazione del detenuto non sia una chimera che trova spazio esclusivamente nelle rappresentazioni cinematografiche. Il ritratto stilato a suon di relazioni dagli psicologi e dagli operatori che lo hanno seguito in carcere è quello di un detenuto modello: tra i migliori allievi del corso alberghiero, De Cesare sogna di ritagliarsi un futuro nel settore della ristorazione. Inoltre, ha anche frequentato il corso di arbitro in ambito calcistico.
“Un processo di revisione profondo” quello intrapreso dall’ex ‘lucciola’ dei narcos secondo la relazione comportamentale e il parere degli psicologi che lo hanno seguito in carcere, supportata dalle investigazioni dei carabinieri che escludono la presenza di elementi utili a considerarlo legato alla criminalità organizzata operante sul territorio. Difeso dall’avvocato Sara Piccini, De Cesare si è visto accordare una preziosa opportunità per tornare alla vita.
Determinanti, per consentire al giudice di disporre l’affidamento al lavoro, tre condizioni imprescindibili: domicilio idoneo, supporto familiare e attività lavorativa. De Cesare andrà a vivere presso l’abitazione della compagna a Ponticelli e lavorerà presso una nota attività, in virtù della disponibilità del titolare ad accoglierlo tra i membri del suo staff.
Una storia di riscatto che racconta di un’opportunità non sprecata e che ha portato un detenuto qualunque a ricostruirsi una nuova vita, oltre le mura carcerarie, lasciandosi alle spalle le brutture del passato.