L’abitazione del 15enne studente dell’istituto “Marie Curie” di Ponticelli che lo scorso 20 settembre è stato accoltellato mentre rientrava in classe, al termine della lezione di educazione fisica in palestra, da giorni è incessante meta di pellegrinaggio da parte di amici e conoscenti che continuano a voler manifestare affetto e vicinanza alla sua famiglia.
Primo di quattro figli, due maschi e due femmine, nati dall’amore di due genitori che hanno fatto da madre e da padre a molti altri bambini e ragazzi del quartiere, molto spesso diventando un fermo punto di riferimento anche per i figli di quelle realtà disagiate. Da anni impegnati anima e corpo in attività sociali e sempre a caccia di nuove soluzioni da mettere in campo per richiamare l’attenzione dei giovani del quartiere, i genitori del 15enne vittima dell’ultimo clamoroso episodio di violenza rappresentano l’oasi in quel deserto di iniziative, proposte e soprattutto ideali che si chiama Ponticelli.
“Lavorare con i ragazzi di questo quartiere non è facile – afferma il padre del 15enne – nel cuore porto ferite insanabili che eternamente mi ricorderanno di aver ‘fallito’ quando qualcuno dei ragazzi che ha frequentato la mia compagnia teatrale o le attività parrocchiali che coordino insieme a mia moglie è morto ucciso dagli spari della camorra. Ho cercato sempre di reagire a quel lutto rimboccandomi le maniche per darmi da fare ancora di più affinché quella fosse l’ultima sconfitta, l’ultima volta che avrei provato quel dolore assurdo e inspiegabile, ma mai avrei immaginato che proprio a mio figlio potesse accadere una cosa simile. Un ragazzo dal carattere mite che segue le nostre iniziative sociali, cresciuto in un ambiente sano e che ci tengo ancora a ribadire non ha mai aggredito nessuno. Quella coltellata alla coscia giunge al culmine di una serie di episodi che risalgono già allo scorso anno. Preso di mira per futili motivi, come spesso accade ai ragazzini come mio figlio, incapaci di fare la voce grossa e di darsi un tono, solo perché beneducati. Solo perché alle spalle hanno dei genitori che gli hanno insegnato che non esistono problemi che non possono essere risolti con il dialogo e il confronto.”
Un fiume in piena di emozioni: un uomo, un padre, consapevole di vivere in un contesto dove la criminalità in tutte le sue mille sfaccettature dilaga, ma ciononostante non ha mai pensato di andare via da Ponticelli.
“Questo è il mio quartiere, il luogo in cui sono nato e dove prima di me sono nati i miei genitori e poi i miei figli. È qui che ho conosciuto mia moglie e qui abbiamo costruito insieme la nostra famiglia e i nostri progetti di vita comune, soprattutto quelli che guardano all’impegno sociale. Per me Napoli è la città più bella del mondo ed è un dovere dei napoletani onesti proteggerla, difenderla, cercare di migliorarla, non limitandosi a puntare il dito contro quello che non va, ma cercando di attivarsi concretamente per risolvere il problema alla radice lavorando sui giovani, perché sono loro la chiave di tutto. Educare i nostri ragazzi, inculcando in loro valori e sentimenti genuini, significa costruire una società migliore, ma emarginare le ‘pecore nere’ non è la soluzione al problema. Soprattutto quei ragazzi hanno bisogno di farsi guidare da persone competenti e in grado di aiutarli ad imparare dai loro errori, affinché possano effettivamente riabilitarsi e trovare una collocazione sana ed armonica all’interno della società. Ed è proprio quello che auguro all’aggressore di mio figlio. Non è un’utopia: tantissimi ragazzi difficili sono riusciti a rimettersi sulla giusta strada grazie alla guida di una persona capace di non giudicarli e condannarli a priori, ma di incanalarli sulla retta via.”
L’emergenza criminalità dilaga tra le strade di Ponticelli: quanto accaduto a tuo figlio lo conferma. Di cosa pensi ci sia bisogno per tamponare questa emergenza?
“Di un esercito di educatori. Il lavoro delle forze dell’ordine è determinante per debellare il male. I blitz che concorrono a disarticolare i clan radicati sul territorio sono importanti, ma non risolvono il problema, se dopo quegli interventi non sopraggiungono le opportune azioni di riqualifica dei territori e non solo. La gente va rieducata alla legalità, Ponticelli è un quartiere che per troppo tempo e da troppo tempo risente dell’assenza delle istituzioni. Se chiudo gli occhi e provo a immaginare una realtà associativa che lavora in ogni rione del quartiere accanto ai bambini, supportando anche le famiglie, vedo una realtà che spero di poter vivere, un giorno, riaprendo gli occhi.”