Il Parco Conocal di Ponticelli si conferma “una palestra della camorra” dove vengono allevati e indottrinati giovanissimi capaci di compiere gesta violente che puntualmente richiamano l’attenzione dei media.
Tantissimi gli episodi che si sono alternati nel corso degli ultimi anni e che vedono finire sotto i riflettori le giovani leve della camorra, all’indomani di delitti efferati, rapine violente, gesta camorristiche eclatanti che rilanciano l’emergenza criminalità tra i palazzoni del fortino del clan D’Amico che dopo il blitz che nel 2016 portò all’arresto di circa 100 persone, di recente, sembra pericolosamente tornato alla ribalta. Un blitz che sgominò il modello di business improntato da Annunziata D’Amico detta “passillona”, la donna-boss, madre di cinque figli, uccisa a 40 anni in un agguato di camorra nell’ottobre del 2015 e che diede il via a un clan prettamente al femminile, dove le dozzine di piazze di droga presenti nel rione erano controllate principalmente da donne. Forte del supporto di cognate e sorelle, erano le donne del clan a impartire ordini, strategie, direttive.
Una politica che probabilmente ha concorso a legittimare l’affiliazione dei giovani del rione che addirittura scazzottavano per entrare nelle grazie della donna-boss. Quando “Passillona” chiedeva di andargli a comprare le sigarette o impugnare un’arma per fare “una bussata di porta” – andare a minacciare qualcuno – i ragazzi e i ragazzini facevano a gara per accaparrarsi quell’incarico che veniva recepito come un onore e non un onere.
Una realtà ripresa dalle videocamere dei carabinieri che immortalarono una ‘stesa’ in pieno giorno tra le strade del fortino dei D’Amico, in guerra con i De Micco per il controllo del territorio. Giovani che sparano a raffica, mentre percorrono in scooter le strade del Conocal, altri giovani replicano al fuoco per difendere il territorio dalle incursioni dei rivali: quelle immagini fecero il giro del mondo e per lungo tempo hanno rappresentato il biglietto da visita più celebre di uno dei tanti rioni popolari di Ponticelli.
Un video che funse da apripista: nel corso degli anni, molte altre immagini hanno riportato l’attenzione mediatica sul fortino del clan D’Amico, complici le gesta di alcuni giovani nati e cresciuti nel mito di Tonino fraluella, il boss Antonio D’Amico, fondatore dell’omonimo clan. Proprio per strizzare l’occhio ai vertici del clan radicato in quel rione in cui vive la nonna, dove ha trascorso gran parte dell’infanzia per via del fatto che i genitori erano impegnati a gestire il ristorante di famiglia in un comune dell’entroterra vesuviano, il giovanissimo Mariano Abbagnara, detenuto nel carcere di Airola, mette a segno un “calcio di rigore senza portiere” quando si trova davanti a una telecamera, chiamato a raccontare la sua esperienza di baby-camorrista. Tra i protagonisti più chiacchierati del documentario “Robinù” che racconta le vere storie dei giovani aspiranti leader della camorra napoletana, “faccia janca”, come veniva chiamato nel Conocal, nei guai ci è finito per aver partecipato all’omicidio di un coetaneo, Raffaele Canfora, ucciso per il mancato pagamento di una fornitura di droga. Non fu l’esecutore materiale, ma in quell’auto sulla quale fu scaricato il corpo del giovane agonizzante e portato in giro per le strade del vesuviano con la musica a palla per coprire i suoi ultimi rantoli e le strazianti richieste d’aiuto, c’era anche Mariano Abbagnara. Uno degli omicidi più efferati ideati da giovani ragazzi, boss “non nella forma”, ma nella sostanza, nei modi di agire e di pensare. Un delitto non commissionato dal clan, ma architettato dai giovani, forse smaniosi di scoprire cosa si prova ad uccidere qualcuno.
Mariano, all’epoca dei fatti, aveva 17 anni. Raffaele era un suo amico, ma le regole della camorra vengono prima di tutto e chi sceglie quella strada è consapevole di non avere amici. Raffaele fu ucciso per “regolare” degli attriti tra gruppi camorristici per il controllo dello spaccio di droga nell’area est di Napoli. La sera dell’omicidio, fu lo stesso Raffaele a prelevare in auto Mariano e i suoi ‘amici-carnefici’ dal rione Conocal di Ponticelli. Da Marianella – il quartiere in cui abitava – a Ponticelli, era giunto a bordo della sua Panda, per andare inconsapevolmente incontro alla morte. Con loro si spostò a Ercolano, dove fu ucciso.
Abbagnara sarebbe anche uno dei giovani che replica al fuoco nemico, in uno dei celeberrimi video che ritraggono le fasi salienti della faida con i De Micco andate in scena nel Conocal negli anni che introdussero l’omicidio della “passillona”.
Passano pochi anni e nell’occhio del ciclone finiscono due fratelli che vivono nel Conocal: Antonio e Nicola Spina, rispettivamente di 18 e 22 anni. Anche loro hanno ucciso un coetaneo, il 19enne Emanuele Errico detto “pisellino”, anche lui viveva nel Conocal e lì è anche morto ucciso. “Pisellino” era un amico di Mariano Abbagnara, ma anche dei suoi assassini: i fratelli Spina. Erano “soci”. “Pisellino” era già stato pizzicato mentre spacciava e per questo stava scontando una pena ai domiciliari, seppure la sera in cui ad attenderlo sull’uscio di casa ha trovato la morte, aveva violato le restrizioni, come aveva fatto in altre circostanze, per mettere a segno furti e rapine. Anche la sera precedente all’agguato in cui ha perso la vita “Pisellino” era uscito di casa per “dare una lezione” ai fratelli Spina, con i quali era entrato in rotta per questioni legate alla spartizione dei proventi dei furti dei motorini rubati e non solo. Insieme a un amico di Volla, la sera prima di morire, “Pisellino” si recò nei pressi dell’abitazione degli Spina per dare fuoco agli scooter dei due fratelli, parcheggiati sotto al palazzo. Le fiamme arrivarono ad intaccare anche alcuni appartamenti dell’edificio rimasto coinvolto nell’incendio, tant’è vero che il fumo costrinse alcuni parenti degli Spina ad abbandonare le abitazioni.
I fratelli Nicola ed Antonio, pur di risalire all’identità dei responsabili di quel raid, avviarono delle vere e proprie indagini che giunsero ad una svolta decisiva quando si fecero consegnare le immagini del sistema di videosorveglianza di un supermercato situato nei pressi della loro abitazione. I fratelli Spina identificarono senza esitazioni “pisellino”, soprattutto grazie a quella camminata “penzolante”. Una volta appurato che Errico era l’autore del raid incendiario, i due fratelli decisero di attivarsi subito per chiudere definitivamente i conti con il 19enne. Nonostante fossero a conoscenza dell’esistenza di quella videocamera, i fratelli Spina decisero di agire, pur consapevoli del fatto che prima o poi gli inquirenti sarebbero risaliti all’identità dei killer di Emanuele Errico, ma non è bastato a dissuaderli dall’entrare in azione per uccidere un amico e coetaneo.
Il giorno seguente all’incendio doloso degli scooter di loro proprietà, i fratelli Spina attesero che il 19enne uscisse di casa. Emanuele Errico fu raggiunto da un proiettile alla schiena, mentre tentava di fuggire.
Nei giorni immediatamente successivi all’agguato fu la madre della vittima a riferire informazioni importanti agli inquirenti.
Fu proprio la madre di “pisellino” a riconoscere senza esitazioni uno degli assassini di suo figlio. La donna ha riferito che negli istanti successivi all’agguato, allarmata dal rumore degli spari, recandosi in strada, notò un’auto blu allontanarsi, a bordo della quale aveva riconosciuto due giovani: uno era Antonio Spina, seduto al lato del passeggero. La donna ha spiegato che suo figlio frequentava i fratelli Spina e che ha riconosciuto Antonio perchè spesso si era recato a casa sua in compagnia di suo figlio Emanuele.
Secondo quanto emerso dalle indagini, a premere il grilletto sarebbe stato proprio lui. A dispetto dei 18 anni compiuti pochi giorni prima dell’agguato.
I fratelli Spina vengono decritti come due ragazzi completamente diversi, sia fisicamente che caratterialmente. Molto più spocchioso ed irriverente il 18enne Antonio, più riservato, ma ugualmente “motivato” negli affari, invece, Nicola. Antonio Spina non era il classico bullo del quartiere. Era un ragazzino che alle minacce preferiva i fatti. Non di rado aveva dato libero sfogo alla sua personalità “cattiva e feroce”.
Seppure siano state contestate le aggravanti della premeditazione, dei motivi futili e abietti e l’uso delle armi illegalmente detenute, i fratelli Spina si sono visti riconoscere una serie di attenuanti: in primis, la giovane età.
Una vicenda in cui a fare da sfondo è principalmente “la moda” che dilaga tra i bad boys del Conocal: le rapine, soprattutto di auto e moto.
A partire da quel momento storico, infatti, sulle pagine di cronaca si alterneranno una serie di vicende che narrano di rapine efferate compiute da giovani del Conocal.
A febbraio del 2023, il video amatoriale girato da un abitante del rione e poi diffuso sul web, conquistò le pagine dei quotidiani nazionali. Immagini che immortalano una rapina mano armata ai danni d un’automobilista, costretto a cedere a cinque soggetti la vettura a bordo della quale percorreva via Mario Palermo, la strada che costeggia il fortino dei D’Amico, poco prima dell’alba, probabilmente mentre stava andando a lavorare.
Un mese dopo, le immagini di un’altra rapina-shock suscitano l’indignazione dell’opinione pubblica. Un ingegnere 32enne, fermo a un distributore di benzina nel quartiere San Giovanni a Teduccio, a bordo del suo scooter, viene affiancato da un motorino con a bordo due soggetti con il volto travisato. Il passeggero scende e minacciandolo con un’arma, gli intima di consegnare lo scooter. L’uomo si oppone, il rapinatore lo strattona, ma senza riuscire nel suo intento. Quando comprende che non otterrà l’agognato bottino, il rapinatore sale a bordo dello scooter guidato dal complice e prima di andare via, spara due colpi di pistola puntando agli arti inferiori del 32enne. Un colpo lo ferisce all’anca, l’altro gravemente a una gamba, tanto da rendere necessario un repentino, lungo e delicato intervento chirurgico sia per salvargli la vita che per sventare l’amputazione dell’arto.
Statura bassa, corporatura esile: quando le immagini di quella tentata rapina sfociata in un omicidio sventato dall’intervento salvavita dei chirurghi dell’ospedale del Mare di Ponticelli, diventano di dominio pubblico, per gli abitanti del Conocal, così come per gli investigatori è fin troppo facile risalire all’identità del rapinatore che ha rapidamente vestito gli abiti dell’aspirante assassino. Si tratta di un giovane che raggiungerà la maggiore età il prossimo dicembre, uno dei membri della paranza dirottata nel Conocal per dare vita alla versione ‘2.0 del clan D’Amico’: quella costituita da giovani sfrontati, violenti, allucinati dall’abuso di droghe, iperattivi sui social, avvezzi soprattutto alle rapine seriali e alle estorsioni ai danni degli abitanti del rione estranei alle dinamiche camorristiche, un modus operandi che decreta una brusca inversione di rotta rispetto al passato, soprattutto perchè nasce dall’unione tra le figlie del boss Antonio D’Amico e due dei giovani rampolli cresciuti sotto le direttive del clan De Micco, gli assassini della sorella di “Tonino fraulella”, la donna-boss tuttora commemorata come una “madonna-martire della camorra”. Un clan ‘ibrido’, nato sotto le direttive di Vincenzo Costanzo detto ciculill’, nipote acquisito del boss Antonio D’Amico, pioniere di quel modello camorristico che ha portato i rampolli del Conocal a vessare e taglieggiare soprattutto gli abitanti del rione estranei alle dinamiche malavitose, incapaci di difendersi e quindi più facili da assoggettare alle logiche violente, semplicemente mostrandogli un’arma e minacciando di usarla per fare del male ai loro figli. E’ proprio nel periodo in cui Ciculill’ ricopre il ruolo di reggente del clan di famiglia che nel Conocal si alternano le sopraffazioni più violente ai danni delle famiglie oneste. Padri e madri che si spaccano la schiena tutto il giorno per guadagnarsi il pezzo di pane, ma ugualmente costretti a subire, più di tutti, più dei camorristi, le velleità imposte dal giovane ras: estorsioni a tappeto, praticate indistintamente per consentire ai residenti in zona di parcheggiare indisturbati auto e scooter sotto casa, ma anche ai percettori del reddito di cittadinanza e a coloro che intendevano tinteggiare o praticare piccoli lavori di manutenzione per rendere più decorose quelle abitazioni di proprietà del Comune di Napoli, ma delle quali l’amministrazione si disinteressa da sempre, lasciando colpevolmente tra le mani della camorra anche la compravendita delle case popolari del Conocal, fin dai tempi della “Passillona”.
Se un tempo la camorra operante nel Conocal si limitava a cacciare di forza “gli infedeli”, gli affiliati o i parenti di questi ultimi che avevano osato tradire il clan per assoggettarsi ai rivali, di recente lo scenario è mutato radicalmente. Anche le famiglie oneste, in maniera del tutto pretestuosa, dalla sera alla mattina, si sono viste sbattute fuori dalle loro case per espresso volere del giovane ras del rione.
Un figlio del Conocal, ma ciononostante odiato e osteggiato dalla gente onesta del Conocal: Vincenzo Costanzo, forte dell’approvazione di due genitori “orgogliosi” dello status di leader del clan del rione che era riuscito a conquistare, ha utilizzato il potere che gli derivava da quella posizione solo per vessare, umiliare, taglieggiare e umiliare i padri di famiglia, i lavoratori onesti, i giovani, perfino i ragazzini che sapeva essere estranei alle logiche camorristiche, forte del possesso di un’arma. Tantissimi i residenti in zona costretti a chinare il capo per preservare l’incolumità dei loro figli e che per questo hanno festeggiato quando Costanzo è stato assassinato.
Una sentenza di morte che aleggiava da tempo sul Conocal, complice l’abuso di droghe da parte del giovane ras, unitamente all’annunciata volontà di ritirarsi dalla scena camorristica locale per investire i proventi derivanti dalle attività illecite in Germania, dove intendeva trasferirsi per rifarsi una vita. Una premessa inconciliabile con l’imminente condanna che pendeva sul suo capo e che di lì a poco lo avrebbe costretto a tornare in carcere per scontare una pena residua. In questo clima matura l’omicidio di Costanzo durante una serata di festa attesa da 33 anni dai tifosi di fede azzurra. Ciculill’ viene assassinato la sera del 5 maggio scorso, in piazza Volturno a Napoli, mentre le strade della città accolgono la gioia incontenibile dei partenopei che celebrano la vittoria del terzo scudetto azzurro.
Proprio in occasione del trigesimo della morte del ras del Conocal, i giovani in odore di camorra che hanno raccolto l’eredità del ras ucciso inscenano una performance clamorosa tra le strade del ‘suo’ rione. “Una scesa”, in perfetto stile “Gomorra”. Un corteo di scooter che marca le strade del rione, decine di persone si riversano in strada per poi sfociare tra le vie del confinante comune di Volla, creando non pochi disagi in termini di viabilità e ordine pubblico. Palloncini bianchi lanciati in volo, decine di persone indossano una t-shirt bianca sulla quale è stampato il volto di Costanzo. E soprattutto la grossa cornice che racchiude una foto del ras ammazzato portata in gloria come uno stendardo, un trofeo. L’ennesima dimostrazione di forza, il puntuale plateale tributo a un “martire” della camorra, imponendo silenzio e rispetto anche alle tante famiglie vittime delle angherie del defunto. Un oltraggio nell’oltraggio che ha scritto una delle pagine più riprovevoli della storia di Ponticelli che narra l’ennesimo episodio di prevaricazione della camorra alla quale lo Stato colpevolmente lascia libertà d’azione, concedendogli di destreggiarsi indisturbata tra le strade di un rione sempre più simbolo della criminalità per omaggiare la memoria di un camorrista forte solo con i deboli, erto a eroe, a martire di guerra, come un mito da idolatrare e onorare. Un segnale plateale e inquietante, quello diramato dalla camorra radicata nel Conocal, in termini di controllo del territorio e di rivendicazione di una forma di potere che con partecipata e dirompente veemenza manifesta la sfrontata volontà di imporre le proprie leggi.
“Il rione più giovane d’Europa”: questo il primato celebrato di recente dalla stampa internazionale e conquistato proprio dal Conocal di Ponticelli, seppure la maggior parte di quei giovani manifestino la capacità di mettersi in evidenza compiendo azioni tutt’altro che edificanti.