Ponticelli, quartiere della periferia orientale di Napoli, quello geograficamente più esteso e densamente popolato del capoluogo campano, è ostaggio di una guerra di camorra che si combatte da circa dieci anni. Una faida che ha fatto registrare sporadiche battute d’arresto, ma anche momenti a dir poco concitati, segnati dall’esplosione di bombe nel cuore dell’area urbana, oltre che da plurimi agguati, nell’ambito dei quali hanno avuto la peggio anche vittime innocenti. Giovani, padri famiglia, barbaramente uccisi.
Una guerra di camorra ignorata dai media nazionali, oltre che dalle istituzioni, la cui assenza incide pesantemente e concorre non poco a determinare logiche e dinamiche in grado di favorire l’ascesa del fenomeno camorristico. Un quartiere saldamente controllato dalla camorra che non si limita a gestire la compravendita degli alloggi popolari di proprietà del Comune di Napoli, ma impone strategie e direttive, oltre ad inscenare vere e proprie azioni militari, sprezzante della presenza di persone estranee al contesto malavitoso.
Il senso di impunità e di onnipotenza che ne deriva, trova la sua espressione più concreta e compiuta in due episodi eclatanti avvenuti di recente e che hanno visto sconfinare nel cuore del capoluogo campano le logiche riconducibili alla faida in corso a Ponticelli.
Il primo episodio risale allo scorso 5 maggio, durante i festeggiamenti per la conquista del terzo tricolore azzurro, un momento atteso dai tifosi di fede azzurra da 33 anni. I sicari sono entrati in azione in piazza Volturno a Napoli, tra centinaia di persone che gremivano le strade, armate solo di sciarpe, bandiere, trombette e un’incontenibile voglia di far festa, per uccidere Vincenzo Costanzo, 26enne ras del Conocal di Ponticelli. Probabilmente lasciato su una panchina da amici/complici che lo hanno consegnato ai killer che poco dopo sono giunti sul posto e che hanno ferito in maniera lieve anche la fidanzata del ras e i due amici/guardaspalle che erano con lui. Costanzo, invece, raggiunto da più proiettili agli arti inferiori, è deceduto poco dopo l’arrivo all’ospedale Cardarelli di Napoli, letale il colpo all’inguine che ha reciso un’arteria vitale.
Doveva sembrare un incidente, una lite sfociata nel sangue, complici alcuni dissidi con il ras che controlla la zona in cui materialmente è avvenuto l’agguato, figura apicale del clan Contini, ma troppi elementi confermano che l’omicidio di Costanzo sarebbe stato studiato e pianificato nei minimi dettagli e avvenuto lontano dalle strade di Ponticelli proprio per allontanare l’ombra dei sospetti e rendere la vita difficile agli inquirenti.
Lo stesso copione è andato in scena nel corso della serata di martedì 27 giugno in piazza Mercato a Napoli. G.M, 21enne legato ai De Micco di Ponticelli è stato ferito alla gamba destra da un proiettile, a suo dire esploso durante un tentativo di rapina. Poche ore prima, nel rione Conocal di Ponticelli, un commando ha fatto irruzione in via Maria Callas con il chiaro intento di mettere a segno un agguato. Diversi colpo d’arma da fuoco sono stati esplosi ad altezza d’uomo, molti dei quali si sono conficcati nelle auto in sosta, probabilmente perchè i killer hanno seguitato a sparare mentre il soggetto finito nel loro mirino fuggiva, cercando riparo tra le vetture parcheggiate sul posto.
Un botta e risposta a distanza ravvicinata che conferma la ripresa delle ostilità tra i De Micco e i D’Amico di Ponticelli, ma che al contempo sottolinea anche la ferma volontà di combattere la faida ben oltre le strade del quartiere della periferia orientale di Napoli. Probabilmente non solo per depistare gli inquirenti, ma anche per lanciare un segnale di forza. Un clan che si proietta ben oltre i confini dell’area di sua stretta competenza dispone dell’appoggio e/o del beneplacito di altre cosche o semplicemente mira a dimostrare di non temere ritorsioni e conseguenze che potrebbero scaturire da azioni scellerate e che potrebbero essere recepite come una scortese mancanza di rispetto dai clan napoletani più longevi e tutt’altro che disposti a tollerare le cosiddette “alzate di testa” (atti di irriverenza, ndr) da parte di paranze di giovani, sempre più spregiudicati.