La morte del 22enne Alessio Bossis, ras emergente dell’area orientale di Napoli, potrebbe essere stata decisa nel corso di un summit tra diversi clan operanti sul territorio e che condividevano l’esigenza unanime di disfarsi del giovane sorvegliato speciale tornato a Volla, comune della provincia di Napoli al confine con Ponticelli, a maggio del 2022. Bossis fu ucciso in un agguato di camorra mentre si trovava nel parcheggio di “In Piazza”, area di ristoro in via Monteoliveto a Volla. Un agguato messo a segno 5 mesi dopo la scarcerazione del giovane e alla vigilia del verdetto che lo avrebbe scagionato dalla stesa compiuta in piazza Trieste e Trento nel 2018, complice l’inutilizzabilità delle intercettazioni, prova cardine che lo inchiodava alle sue responsabilità.
Un delitto compiuto un mese prima del blitz che in ogni caso avrebbe ricondotto in carcere Bossis che nei 5 mesi trascorsi all’ombra del Vesuvio si era dato molto da fare, malgrado il divieto di allontanarsi dal comune di residenza, a tal punto da attirare su di sè le inimicizie di diversi clan operanti sul territorio.
Non è un segreto ormai che il giovane si stesse organizzando per fondare un clan tutto suo, forte del supporto dei cosiddetti “ragazzi di Bossis”: un nutrito gruppo di giovanissimi provenienti da Volla, suo stesso comune d’origine che lo hanno supportato fin da quando, non ancora maggiorenne, aveva iniziato a marcare la scena camorristica vesuviana, inizialmente al soldo dei Minichini-De Luca Bossa. Bossis era riuscito in pochissimo tempo a conquistare un posto di rilievo all’interno dell’alleanza costituita dai vecchi clan dell’area orientale partenopea, complice l’uscita di scena forzata di Alfredo Minichini. Quando il figlio di “Cirillino”, nonchè fratello di Michele detto ‘o tigre fu tratto in arresto, chiese proprio al giovane Bossis di subentrare al suo posto e di curare i suoi interessi.
Una figura carismatica e dotata di una tempra criminale riconosciuta e temuta dai rivali, malgrado la giovane età, malgrado la provenienza da una famiglia estranea alle dinamiche camorristiche: in questo scenario matura l’ambizioso progetto di Alessio Bossis, assassinato mentre era in compagnia di due amici, rimasti illesi, probabilmente recatosi in quel parcheggio per partecipare a un inconsapevole appuntamento con la morte.
Intorno al suo delitto, fin da subito, si è delineato uno scenario chiaro che con il corso del tempo continua ad arricchirsi di dettagli utili a far luce sul movente, almeno fino a quando gli inquirenti non risaliranno all’identità dei sicari.
L’unico dato certo è che senza la benedizione dei Veneruso-Rea, clan egemone a Volla, l’omicidio di Bossis non sarebbe avvenuto nel comune vesuviano in cui abitava. Del resto, anche i Veneruso-Rea avevano valide ragioni per eliminare un nemico scomodo che rischiava di intralciare i loro affari. Il 22enne, infatti, si stava organizzando per avviare un prolifero business della droga proprio nel suo comune di residenza. Pare infatti che fosse intenzionato ad aprire una piazza di droga senza l’autorizzazione dei Veneruso-Rea. Un affronto che nella malavita si paga a caro prezzo: una mancanza di rispetto imperdonabile, secondo le ideologie dei camorristi “vecchio stampo”, oltre che un’azione finalizzata a intaccare le finanze dell’organizzazione. Le motivazioni che possono aver portato anche i Mazzarella a pronunciarsi a favore della morte di Bossis, del resto, vanno ricercate in uno scenario analogo.
Nell’estate del 2018, si vocifera che Bossis mise la firma su un raid armato, probabilmente un tentato omicidio davanti all’Hollywood Cafè, rinomato luogo di ritrovo in via Botteghelle, nel comune di San Giorgio a Cremano. In quel frangente, tra i tanti giovani avventori, figurava anche il figlio di una delle figure apicali del clan Mazzarella. Due sicari, con il volto coperto dai caschi, a bordo di uno scooter, una volta giunti sul posto hanno iniziato a sparare contro il gruppo. Il figlio del capoclan e i suoi amici si sono rifugiati nel bar. Il passeggero è sceso dallo scooter e ha continuato a sparare contro l’esercizio commerciale, mandando in frantumi la vetrina. Una scheggia di vetro ha ferito lievemente al collo uno dei clienti, altri proiettili si sono conficcati in una Smart parcheggiata all’esterno. La Scientifica della Polizia ha repertato 7 bossoli calibro 9 x 21 e diversi frammenti di proiettile.
Una pioggia di fuoco probabilmente voluta per eliminare il figlio di uno dei fratelli Mazzarella. Fin da subito, negli ambienti malavitosi, proprio il giovane Bossis, arrestato poi pochi mesi dopo è stato indicato come il killer che ha seminato il panico tra gli avventori del bar per mettere la firma su un delitto eccellente. Un affronto che un clan datato e strutturato non poteva lasciare impunito e verosimilmente, alla prima occasione utile, i Mazzarella hanno presentato il conto a Bossis, dando il loro consenso all’omicidio del 22enne. Saranno le indagini in corso a chiarire il clan d’appartenenza degli esecutori.
Inoltre, è opportuno ricordare che le intercettazioni che hanno portato all’arresto del boss Marco De Micco e degli altri affiliati all’omonimo clan, accusati dell’omicidio di Carmine D’Onofrio, hanno anche rivelato il rapporto che intercorreva tra il leader dei “Bodo” di Ponticelli e Salvatore Alfuso soprannominato ‘o fuso, elemento di spicco del clan Veneruso-Rea di Volla. Un’associazione di fatti e persone che lascia intravedere un equilibrio criminale che la scarcerazione di Bossis rischiava di minare, tra le strade di Ponticelli e Volla, indistintamente.
L’ipotesi dell’omicidio deciso durante un summit tra diversi clan della zona viene confermata anche da un altro dettaglio: la sera dell’omicidio, Christian Marfella, reggente del clan De Luca Bossa in quel momento storico, malgrado avesse terminato di scontare i domiciliari, non si sarebbe concesso la consueta passeggiata in moto tra le strade del quartiere, ma sarebbe rimasto per tutto il tempo affacciato alla finestra della sua abitazione, nel rione Lotto O di Ponticelli, intrattenendosi a conversare con i passanti, concorrendo così a crearsi un alibi di ferro utile a stroncare sul nascere ogni possibile sospetto.
Molto probabilmente sarà uno dei “ragazzi di Bossis” a far luce anche sul suo omicidio: Giuseppe Veneruso, 29 anni, collaboratore di giustizia dallo scorso febbraio, addentratosi nel contesto malavitoso proprio grazie all’amicizia con il 22enne ucciso lo scorso ottobre, insieme al quale confluì nel clan De Luca Bossa. Veneruso nel 2020 passò al soldo dei Mascitelli di Pomigliano D’Arco in seguito a un litigio violento che portò all’interruzione violenta dei rapporti con la cosca del Lotto O. Non è da escludere che la morte violenta dell’amico d’infanzia figuri tra le motivazioni che hanno indotto Veneruso ad intraprendere la via della collaborazione.